Eccomi, la mia pagina 27 termina così:
Non bisognava scherzare col suo metro e sessanta.
Ho letto che dietro Pétronille Fanto c'è la scrittrice e amica Stéphanie Hochet.
Finora della Nothomb ho letto romanzi, questo non so fino a che punto sia autobiografico ma sicuramente l'amore per lo champagne è un elemento veritiero che si ritrova anche in altri suoi romanzi.
Quest'amicizia tra Amélie e Pétronille è curiosa perché nasce prima come corrispondenza e successivamente dal vivo perché Amélie sta cercando una convigna cioè una compagna di bevute. Amélie sceglie proprio lo champagne perché la sua ebbrezza non ha eguali, scrive.
Riporto questo passo che mi ha colpito:
Ogni alcolico possiede una particolare forza d’urto; lo champagne è uno dei pochi a non suscitare metafore volgari. Eleva l’anima verso quella che doveva essere la condizione del gentiluomo all’epoca in cui questa bella parola aveva un significato. Concede una grazia disinteressata, corredata di leggerezza e profondità al tempo stesso, esalta l’amore e conferisce eleganza alla perdita di quest’ultimo. Per queste ragioni, avevo pensato che si potesse trarre da quell’elisir un beneficio ancora maggiore. Fin dal primo sorso, ho capito di avere ragione: lo champagne non era mai stato così delizioso. Le trentasei ore di digiuno avevano affilato le mie papille gustative, che rilevavano i minimi sapori della lega e sussultavano di una voluttà nuova, dapprima virtuosa, presto brillante, infine incantata. Ho continuato coraggiosamente a bere e, man mano che svuotavo la bottiglia, ho sentito che la natura dell’esperienza cambiava: la condizione che stavo raggiungendo meritava di essere definita non tanto ebbrezza, quanto piuttosto uno “stato dilatato di coscienza”, come viene chiamato con pompa scientifica odierna. Uno sciamano lo avrebbe definito trance, un tossicomane avrebbe parlato di trip. Ho cominciato ad avere delle visioni.