pigreco
Mathematician Member
Lessi questo libro durante il liceo, quando la professoressa mi chiese di fare un parallelo con "Se questo è un uomo" di primo Levi. Nella narrazione di Solzenicyn c'è tutto l'orrore dei campi di concentramento comunnisti nella Russia staliniana, la fame, l'umiliazione, il dolore e il freddo che entra anche nelle ossa del lettore. Ricordo che rispetto a Levi mi sembrò un racconto molto più asciutto, senza divagazioni intellettuali o riflessioni profonde, solo un arido resoconto della vita all'interno del gulag. E credo che rendere fredda anche la narrazione fosse una scelta pensata dell'autore. Anche solo per il valore storico, un libro che non si può non leggere.
Da Wikipedia:
Le pagine di Ivan Denisovič presentano una umanità costretta a vivere in condizioni subumane, in balia di un potere cieco ed assurdo. Per certi versi riecheggia la prosa di Primo Levi, particolarmente nella descrizione della quotidianità all'interno di un lager.
Oltre gli orrori fisici ampiamente prevedibili (freddo, fame, sfinimento, disumanità dei carcerieri) grava sul protagonista la pesante coartazione psicologica e relazionale che un sistema come quello di un campo di concentramento induce, nella ricerca dell'annullamento dell'individuo fino a farlo diventare cosa.
Nei campi e nelle prigioni Ivan Denisovič si era disabituato a pensare a che cosa avrebbe fatto fra un giorno o fra un anno e come avrebbe mantenuto la famiglia. Per lui pensavano i capi.
Nel campo la squadra è fatta in modo che il capo non abbia bisogno di aizzare i detenuti, ma siano i detenuti ad aizzarsi l'un l'altro. La scelta può essere solo fra un supplemento di rancio per tutti o - ugualmente - la morte per tutti.
Da Wikipedia:
Le pagine di Ivan Denisovič presentano una umanità costretta a vivere in condizioni subumane, in balia di un potere cieco ed assurdo. Per certi versi riecheggia la prosa di Primo Levi, particolarmente nella descrizione della quotidianità all'interno di un lager.
Oltre gli orrori fisici ampiamente prevedibili (freddo, fame, sfinimento, disumanità dei carcerieri) grava sul protagonista la pesante coartazione psicologica e relazionale che un sistema come quello di un campo di concentramento induce, nella ricerca dell'annullamento dell'individuo fino a farlo diventare cosa.
Nei campi e nelle prigioni Ivan Denisovič si era disabituato a pensare a che cosa avrebbe fatto fra un giorno o fra un anno e come avrebbe mantenuto la famiglia. Per lui pensavano i capi.
Nel campo la squadra è fatta in modo che il capo non abbia bisogno di aizzare i detenuti, ma siano i detenuti ad aizzarsi l'un l'altro. La scelta può essere solo fra un supplemento di rancio per tutti o - ugualmente - la morte per tutti.
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