Cormac McCarthy, Sunset Limited
Un improbabile dialogo attorno al tavolo di cucina di un appartamento popolare: un bianco upper-class, cinico intellettuale fieramente coerente al convincimento che l’esistenza sia null’altro che un’inutile galleria degli orrori e stoicamente refrattario a qualsiasi illusione consolatoria; un nero, avanzo di galera, “illuminato” dalla fede proprio sul fondo del baratro, che ha costruito una nuova esistenza sulla Bibbia e sulla convinzione che, al fondo di tutti e tutti, c’è una «vena d’oro», quella «cosa eterna». Le circostanze che li hanno fatti incontrare sembrano confermare entrambi i punti di vista: un’assurda casualità, utile solo a prolungare l’angoscia dell’esistenza di qualche ora, ha fatto concludere il salto del primo, destinato alle rotaie del Sunset Limited, tra le braccia del secondo: quasi un’investitura, per quest’ultimo, al ruolo e alla responsabilità di restituirlo alla vita, intesa come speranza e pienezza di significato.
Non c’è redenzione e non ci sono miracoli in questo «romanzo in forma drammatica»: ci sono abissi di disperazione e squarci di luce, tragedia e commedia al tempo stesso, ma senza catarsi. Solo una domanda rimane, alla fine: cos’è «che fa stare la gente coi piedi fermi per terra quando passa il SUnset Limites»?
Una lettura a freddo, da fare con lucidità e presenza di spirito, tenendo testa alla prosa lucida e a tratti glaciale, mai banale, di McCarthy; a tratti faticosa, soprattutto laddove include anche i silenzi, le battute che si corrispondono, i monosillabi che marcano la distanza tra gli interlocutori. Con lampi di luce al fosforo, come nella disperata battuta finale che il nero indirizza a Gesù, e alla propria ostinata fede: «Non fa niente. Anche se non mi parli mai più lo sai che mantengo la tua parola».