Mi è piaciuto molto questo libro, la cui lettura per ragioni varie ho protratto più a lungo di quanto la sua scorrevolezza avrebbe meritato. La storia è ambientata in Vietnam quando ancora il Vietnam come stato non esisteva: siamo infatti nell’Indocina francese durante l'omonima guerra degli anni 50, in seguito alla quale l’intera regione si libererá del dominio coloniale per dar vita agli stati del Nord-Est asiatico che conosciamo oggi. I protagonisti sono tre: il narratore, Thomas Fowler, giornalista inglese che si fa un vanto di rivestire il ruolo di puro “reporter” senza farsi coinvolgere dal conflitto in corso e senza quindi prendere posizione, la sua ragazza vietnamita Phuong, che sarà oggetto di un originale triangolo amoroso, e un “americano tranquillo”, Alden Pyle – ma Fowler si ostinerà a chiamarlo sempre solo per cognome – di cui all’inizio non sappiamo nulla, se non che faceva parte della Missione per gli aiuti economici e che è stato ucciso in circostanze misteriose, per scoprire le quali lo stesso Fowler sarà interrogato dalla Sûreté francese.
A partire dalla notte dell’omicidio, quindi, prende avvio la narrazione, alternando scene ambientate nel presente (l’interrogatorio, l’indagine, un tiepido sforzo da parte della polizia per scoprire la verità) e ricordi del passato: il momento in cui Pyle e Fowler si sono conosciuti; l’inizio, da parte di Pyle, di una tanto ostinata quanto politically correct linea d’azione volta alla conquista del cuore di Phuong, alla quale pretende caparbiamente di offrire il “sogno americano” di una vita felice e rassicurante (ciò che Fowler, già sposato e impossibilitato ad ottenere il divorzio, non può darle); la “vittoria” di Pyle su Fowler e, indizio dopo indizio, la scoperta da parte dell’inglese del vero ruolo ricoperto dall’“americano tranquillo” all’interno del conflitto.
Fin dalla prima pagina Fowler e Pyle sono presentati come “amici”, eppure non vi possono essere due figure più distanti fra loro: essi rappresentano gli antipodi del modo di porsi di fronte alla guerra, agli idealismi, a una cultura “esotica” come quella vietnamita, all’amore, alla vita stessa. Più anziano, cinico, disincantato e mentalmente aperto Fowler; più giovane, ottimista, ingenuo, caparbio Pyle, talmente accecato dai propri ideali da non rendersi conto di quanto lui stesso si stia rendendo colpevole nei confronti di quel popolo dalla cui parte è convinto di stare.
L’esplicita critica alla mentalità ottusa e distruttiva degli Stati Uniti ha fatto sì che questo romanzo sia stato condannato come profondamente antiamericano. Non c’è dubbio che la figura di Fowler, presumibilmente alter ego dello stesso Greene, attiri più simpatie del suo compagno, ma allo stesso tempo non credo si possa parlare di un personaggio positivo contrapposto ad uno negativo, anzi: proprio a partire dalla relazione di entrambi con Phuong, ci rendiamo conto che i due uomini, incarnazione dei due poli della cultura occidentale, quello europeo e quello statunitense, pretendono di comprendere un popolo e una cultura a cui non appartengono e rispetto ai quali entrambi, in modo diverso, probabilmente si sentono superiori.
Al di là degli aspetti più propriamente ideologici e culturali, comunque, questo breve romanzo è davvero accattivante: ha una struttura prettamente cinematografica (non mi meraviglio che vi abbiano tratto un film di successo), un susseguirsi di scene che spaziano dal presente al passato per rivelare ciò che è accaduto: chi ha ucciso Pyle e perchè? Passo dopo passo seguiamo Fowler nel ripercorrere le tappe della sua pseudo-amicizia fino al finale che, tornando da dove eravamo partiti, chiude perfettamente il cerchio.
Un romanzo piacevole e leggero (nonostante l’argomento), ironico e amaro, avvincente e capace di offrire spunti interessanti su cui riflettere. Lo consiglio.