Coetzee, J.M. - Aspettando i barbari

Dorylis

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Un magistrato bianco, che per decenni si è occupato degli eventi del piccolo insediamento di frontiera in cui vive, ignorando la guerra tra i barbari e l'Impero che pure incombe sulla cittadina, si trova all'improvviso a confrontarsi con la realtà: dapprima comincia a simpatizzare con i prigionieri angariati durante gli interrogatori, poi si innamora di una di loro, una barbara. Tanto l'amore quanto la dura condizione carceraria lo spingono a compiere, finalmente, un atto di ribellione.

Letto in occasione della sfida dei 5 continenti per l'Africa, ho avuto modo di conoscere questo grande scrittore premio Nobel 2003 che con uno stile di scrittura semplice e spesso indiretto, riesce come non mai a farti riflettere sulla nostra paura dello straniero, del nostro a volte irrazionale rifiuto di approccio con altre civiltà considerate "incivili" se paragonate all'Occidente industrializzato.
Questo libro che è ambientato in una terra di nessuno (che per certi versi ricorda le grandi distese desertiche dell'Africa) è un piccolo gioiello contro tutte le forme esistenti di pregiudizio sociale. Il magistrato bianco che si trova a dover tutelare l'ultima frontiera di un potente Impero coloniale, viene così attraverso il contatto con una ragazza "barbara" menomata dalle continue torture, a conoscenza di una realtà di valori e sorprusi di cui era del tutto inconsapevole.
In questo libro si può notare un'aperta critica al Sudafrica dell'apartheid, alla fine per Coetzee di fondamentale importanza è testimoniare contro queste forme di segregazione e violenza. Un capolavoro, BELLISSIMO! TUNZZZ
 
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Aspettando i barbari di J.M.Coetzee

Mi limito a citare una perla tratta da questo splendido romanzo, parla da sola:

Qualche volta, al mattino, se la giornata è bella, riesco ancora a
sentire la forza e l'agilità della mia piena virilità. Come un'ombra
allora scivolo da una macchia all'altra. Con gli stivali che ho
ingrassato per trent'anni, passo a guado ruscelli di acqua gelata. Sopra
la giacca ho la mia gigantesca pelle d'orso. Sulla barba mi si forma la
brina ma le mani sono calde nei guanti. La vista è acuta, l'udito fino,
fiuto l'aria come un bracco, in uno stato di pura esaltazione.
Oggi lascio il mio cavallo legato dove finisce la striscia di erba
palustre, sulla brulla sponda sud-occidentale del lago, e procedo a
piedi tra le canne. Il vento, gelido e secco, mi soffia dritto negli
occhi, il sole è sospeso come un'arancia su un orizzonte striato di
viola e di nero. Quasi immediatamente, per un assurdo colpo di fortuna,
m'imbatto in un'antilope d'acqua, un maschio con le corna fortemente
attorcigliate, col pelo ispido e lungo del manto invernale: sta lì, al
mio fianco, e vacilla quando si allunga verso l'alto per strappare le
fronde delle canne. Dalla mia posizione, a soli trenta passi, vedo il
mansueto movimento circolare della mascella, sento il tonfo degli
zoccoli, riesco perfino a scorgere le goccioline di brina che si
depositano sulla sua barbetta.
Ancora non ho studiato la situazione e tuttavia, quando l'antilope si
solleva, con le zampe anteriori piegate sul petto, alzo il fucile e
glielo punto alle spalle. Il mio movimento è stato lento e continuo, ma
forse il sole dev'essersi riflesso sulla canna del fucile, perché nel
riabbassarsi volta la testa e mi vede. Gli zoccoli toccano la terra
ghiacciata producendo un suono secco, leggero, la mascella s'arresta a
metà, e ci guardiamo.
Il battito cardiaco è regolare: evidentemente non m'importa se
l'antilope muore.
Mastica ancora una volta, un solo colpo di mandibola, poi smette. Nel
silenzio di quel chiaro mattino scopro un sentimento oscuro annidato ai
confini della mia coscienza. Col maschio di antilope immobile, come
sospeso davanti a me, sembra che ci sia tempo per tutto, tempo
addirittura per rivolgere lo sguardo dentro di me e capire cos'è che ha
tolto alla caccia tutto il suo fascino: la sensazione che ormai non si
tratti più di una mattina di caccia, ma di una circostanza in cui o il
fiero animale cadrà colpito a morte insanguinando la neve o il vecchio
cacciatore sbaglierà il suo colpo; la sensazione che per tutta la durata
di questo istante raggelato le stelle siano disposte in una
configurazione in cui gli eventi non sono più quello che sono, ma
significano altre cose. Resto lì, dietro il mio meschino riparo, nel
tentativo di scuotermi di dosso questa sensazione irritante e
misteriosa, finché la bestia non si volta e con un guizzo della coda e
un breve tonfo degli zoccoli scompare tra le alte canne.
 
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