Il titolo del romanzo è preso in prestito da un blues di Nat King Cole: in effetti la musica è il filo che lega la trama esile della storia d'amore tra Hajime e Shimamoto, entrambi figli unici. Ma "ad Ovest del sole" sono anche le coordinate di una geografia dell'anima: è il luogo impossibile e continuamente inseguito dove essere finalmente "interi", completi, dove la percezione di sé coincida con quello che vedono gli altri, dove ogni minimo soffio di vento non rischi di mandarci in pezzi.
Per Hajime, il cui nome in giapponese significa "Inizio", questo luogo immaginato coincide, per tutti gli anni della giovinezza, con Shimamoto, la ragazzina con cui aveva stretto amicizia a dodici anni, insieme alla quale aveva scoperto la musica jazz e i primi segni dell'attrazione per l'altro sesso. Poi Shimamoto era andata via. Hajime continua a pensare a lei, ma la vita va avanti e lo porta, a 37 anni, ad essere quel che si dice un uomo realizzato: una moglie e due figlie che ama, due locali jazz di successo.
Ed è proprio nel suo locale che, in una sera di pioggia, riappare Shimamoto. E le convinzioni di Hajime vanno in frantumi: chi è lui veramente? L'uomo di 37 anni che investe in borsa e accompagna le figlie a scuola o il ragazzino di 12 anni che, quella volta che Shimamoto gli prese la mano, aveva sentito che "in quel palmo era racchiuso, come in una minuscola vetrinetta, tutto quello che c'era da sapere sulla vita"?
E' un romanzo che non si rivela alla prima lettura, che va lasciato decantare perchè riveli il proprio senso: che è una riflessione sul conflitto tra realtà e sogno, sulla fatica di ricominciare e doversi ricostruire continuamente, che è il ritmo stesso della nostra vita.
Per Hajime, il cui nome in giapponese significa "Inizio", questo luogo immaginato coincide, per tutti gli anni della giovinezza, con Shimamoto, la ragazzina con cui aveva stretto amicizia a dodici anni, insieme alla quale aveva scoperto la musica jazz e i primi segni dell'attrazione per l'altro sesso. Poi Shimamoto era andata via. Hajime continua a pensare a lei, ma la vita va avanti e lo porta, a 37 anni, ad essere quel che si dice un uomo realizzato: una moglie e due figlie che ama, due locali jazz di successo.
Ed è proprio nel suo locale che, in una sera di pioggia, riappare Shimamoto. E le convinzioni di Hajime vanno in frantumi: chi è lui veramente? L'uomo di 37 anni che investe in borsa e accompagna le figlie a scuola o il ragazzino di 12 anni che, quella volta che Shimamoto gli prese la mano, aveva sentito che "in quel palmo era racchiuso, come in una minuscola vetrinetta, tutto quello che c'era da sapere sulla vita"?
E' un romanzo che non si rivela alla prima lettura, che va lasciato decantare perchè riveli il proprio senso: che è una riflessione sul conflitto tra realtà e sogno, sulla fatica di ricominciare e doversi ricostruire continuamente, che è il ritmo stesso della nostra vita.