“In fin dei conti tu non appartieni solo a te stesso”
La mole? l’autore? il fatto che si trattasse di una saga familiare e perciò stesso priva, solitamente, di una trama molto forte? Non so per quale ragione ero convinta che I Buddenbrook si sarebbe rivelato un libro bello, ma “pesante”... e invece, in questa previsione, sono stata smentita sin dalle primissime pagine!
Ho trovato subito il ritmo intenso e la narrazione scorrevole, e questo soprattutto grazie alla caratterizzazione vivace e molto marcata dei personaggi principali (Tony, Thomas e Christian, ma anche il padre e il nonno e , nell'ultima parte del libro, il piccolo Hanno).
Ho notato che Mann pone molto attenzione al modo in cui vengono rappresentati: ogni parola, ogni gesto, è un “tratto saliente”, direi quasi autoreferenziato... Si potrebbe pescare a caso una frase - la descrizione di un atteggiamento o la trascrizione di un pensiero - e sono quasi certa che riusciremmo subito a indovinare a chi appartiene! L’autore sceglie di ricorrere spesso alle stesse espressioni per caratterizzare un personaggio, anche a distanza di anni o in situazioni molto differenti fra loro, in un gioco di rimandi che è molto significativo, in quanto evidenzia l’effettiva “immobilità” dei Buddenbrook, vera causa della loro rovina. Non per niente l' associazione a un gesto (molto simile a una “condanna”) è tipica delle divinità classiche , le quali –prigioniere della loro immobile eternità – venivano identificate sempre nello stesso modo.
L’esempio lampante (e anche il più divertente) è quello di Tony, che, ogni qualvolta si trova a dover fronteggiare una situazione difficile mostrando allo stesso tempo la sua estrema “dignità”, “butta indietro la testa, cercando tuttavia di premere il mento contro il petto”.
Ma quello che ho apprezzato ancora di più (e legato in qualche modo a questo discorso), è la relazione strettissima fra l'individualità del singolo personaggio (la sua “sfera personale”, che traspare appunto nel modo di parlare, muoversi, gesticolare...), le sue scelte (nelle quali -volente o nolente- entra in gioco il nome della “famiglia”, con tutto il suo fardello di responsabilità, aspettative, principi indiscussi e indiscutibili...) e il contesto sociale e politico nel quale il personaggio e la famiglia sono inseriti. E il bello è che ognuno dei protagonisti ha un modo tutto suo di interpretare questi tre “ruoli”...
Tony rappresenta la consapevolezza e lo sforzo di mantenere alto l’onore della famiglia e, a ben vedere, è la “Buddenbrook” per eccellenza. Dopo aver represso dentro di sè un timido tentativo di seguire il proprio cuore (repressione che non le richiede neanche troppo sforzo, poichè innata in lei è la consapevolezza del proprio valore, un senso di solenne importanza che la fa sentire responsabile di tutto) , Tony sembra fare proprio il monito del padre “non siamo creature disgiunte, indipendenti e isolate, ma gli anelli di una catena...”
Christian è l’immancabile “pecora nera”, il pesce fuor d’acqua, l’artista mancato... La sua figura si contrappone a quella del fratello, perfetto borghese (benchè non privo di contraddizioni, anzi...), in quanto del tutto incapace di dominare la propria interiorità, come si esige da una persona “rispettabile”. Bellissimo il passaggio in cui Thomas parla di lui alla sorella Tony:
Gli manca qualcosa, quello che si chiama l'equilbrio, l'equilibrio personale. (...) Qualche volta fa paura. Non è forse come uno che parla nel delirio della febbre? A chi delira mancano, proprio nello steso modo, contegno e riserbo... Oh, la cosa è molto semplice: Christian si occupa troppo di sè, di quel che accade dentro.
E più avanti: Ci saranno sempre uomini autorizzati a interessarsi così di se stessi, a osservare con la massima attenzione quel che sentono: i poeti, che sanno esprimere con sicurezza, con bellezza, la loro privilegiata vita interiore, e in questo modo arricchiscono il mondo sentimentale dell’altra gente.
Christian non ha questo dono: è un poeta fallito, un pagliaccio...
Ma il vero protagonista - insieme a Tony, con cui condivide la pesante eredità della famiglia, seppur con esiti così diversi- è Thomas. Paradossalmente è lui - l’uomo brillante, di successo, che ha raggiunto obiettivi mai toccati e conferito a se stesso e alla ditta un immenso prestigio - l’incarnazione della crisi e poi della rovina che investe tutta la famiglia, simbolo a sua volta di un’intera classe sociale. La sua figura è davvero affascinante... ci si potrebbe scrivere sopra pagine e pagine!!!
Thomas è, come Tony, perfettamente conscio dell’importanza del suo ruolo, ma – rispetto a lei – ha una natura più tormentata, più problematica... A lui non basta “sentirsi nobile”: sa che la legittimità del suo potere non è un diritto, ma una conquista da difendere giorno dopo giorno. Riporto uno dei passaggi secondo me più belli e significativi di tutto il libro:
Che cos’è il successo? Una forza segreta e indescrivibile, avvedutezza, prontezza... la consapevolezza di esercitare con la mia sola presenza una pressione sull’andamento della vita intorno a me... La fede nell’arrendevolezza della vita in mio favore... Appena qualcosa comincia ad allentarsi, a rilassarsi, a stancarsi, subito quel che è intorno a noi si libera, reagisce ostile, si ribella, si sottrae al nostro influsso... Allora colpo segue colpo, una sconfitta tira l’altra, e si è finiti.
Thomas si rende conto che il germe del dubbio che spesso lo divora (“ma lui aveva il diritto di esprimere quel concetto, di prenderlo in considerazione, anche solo di farselo venire in mente? Poteva forse immaginare suo padre, suo nonno, uno qualunque dei suoi concittadini, in atto di riflettere su un concetto del genere e di formularlo?”) è già di per sè portatore di malattia... Anzichè cogliere il potenziale di questo nuovo “spirito”, egli cerca con tutte le sue forze di cristallizzare l’eredità dei suoi padri, trasformando la sua vita e se stesso in una sterile “rappresentazione”.
Io credo che, se un sintomo (non certo la causa) si deve trovare della decadenza della famiglia Buddenbrook, questo sia da cercare proprio nel carattere di Thomas, incapace – come faceva suo nonno– di restare “saldo e privo di dubbi nella sua professione” o – come faceva suo padre – di affidarsi alla Provvidenza Divina come garanzia di successo, e allo stesso tempo non abbastanza forte da comprendere e adattarsi ai cambiamenti in atto per volgerli a proprio favore. In questo senso il senatore Buddenbrook è il vero “fallito”, ancor più del fratello Christian, che non si è mai riconosciuto nei valori tramandati dalla famiglia.
Davvero bello questo libro... Compatto, coerente, con passaggi introspettivi davvero notevoli (ne ho riportati alcuni, ne ho sottolineati molti di più!!!).
A costo di allungarmi ancora un po’, chiudo con questo pezzo secondo me bellissimo (e anche molto indicativo della natura del protagonista)... A parlare è ancora una volta Thomas, che si rivolge a sua sorella:
Sempre più ho imparato ad amare il mare... forse un tempo preferivo la montagna, perchè era così lontana. Adesso non ci tornerei. Credo che avrei paura e vergogna. É troppo capricciosa, troppo irregolare, troppo multiforme... Sicuro, mi sentirei soccombere. Quali sono gli uomini che preferiscono la monotonia del mare? A me sembra che siano quelli che hanno visto troppo a lungo, troppo a fondo nel groviglio delle cose interiori, per non cercare in quelle esteriori una cosa sola: la semplicità... (...) Occhi sicuri, caparbi, felici, audaci, fermi e coraggiosi, vagano di vetta in vetta; ma sulla vastità del mare, che con questo mistico e snervante fatalismo srotola le sue onde, sogna uno sguardo velato, sapiente e disincantato, già profondamente entrato in dolorosi intrighi... Salute e malattia, ecco la differenza. Si scala arditamente la meravigliosa molteplicità delle cime frastagliate, delle vette e dei dirupi, per mettere alla prova la propria energia vitale, non ancora consumata. Ma si cerca riposo sulla vasta semplicità delle cose esteriori, stanchi dei grovigli di quelle interiori.