C'è poco da fare: leggere Terzani, per me, è come leggere all’interno della mia anima. Anzi, della mia coscienza. E la voce della coscienza non sempre è rassicurante, non ci dice necessariamente quello che vorremmo sentirci dire. Lettere contro la guerra è stato per me da una parte un “ritorno a casa”, la sensazione di leggere qualcosa che sento appartenermi nel profondo, dall’altra una voce scomoda, che ha messo in discussione le mie certezze: quelle che derivano dal mio modo di pensare, dalla mia cultura, dal mio mondo.
D’altra parte parlare dell’attacco alle Torri Gemelli dell’11 settembre come di una “buona occasione” non è una cosa che farebbe chiunque. Ma Tiziano Terzani non è uno qualunque e ha creduto davvero alla possibilità di trasformare il più grave attacco terroristico della storia nell’occasione per un ripensamento globale. Purtoppo, pochi giorni dopo, sulle pagine di un giornale ancor prima che sul campo di battaglia, Terzani si è dovuto ricredere dopo aver letto la lettera della Fallaci che, partendo da presupposti totalmente diversi dai suoi, giunge a conclusioni altrettanto lontane.
“Lessi i quattro paginoni e mi prese una gran tristezza. Ancora una volta mi ero sbagliato: altro che buona occasione, l’11 Settembre era stata l’occasione di svegliare e di aizzare il cane che è in ognuno di noi. Il punto centrale della risposta di Oriana era non solo di negare le ragioni del nemico, ma di negargli la sua umanità, il che è il segreto della disumanità di tutte le guerre.”
Certo non è facile considerare “umani” i terroristi dell’ISIS, l’immaginario collettivo ce li ha mostrati fin dal principio come dei “mostri”. La demonizzazione del nemico è stata attuata più volte nella storia: in fin dei conti è la soluzione più facile, quella che mette una maggior distanza fra i due fronti, fra il Bene (noi) e il Male (gli altri). E bisogna ammettere che non è facile accettare, anche solo per il tempo di una lettura, di vedere nei terroristi nient'altro che dei demoni, appunto perchè lo sforzo della comprensione, del “mettersi nei panni dell’altro” è da sempre la via più difficile. Eppure è questo che dobbiamo provare a fare per capire le ragioni profonde di ciò che sta accadendo. Comprendere non significa condividere, e nemmeno tollerare. Comprendere non significa renderci deboli di fronte ai terroristi, ma scoprire il modo per poterli attaccare più efficacemente e definitivamente. E non necessariamente con l'uso delle armi.
“Io sono convinto che il problema del terrorismo non si risolverà uccidendo i terroristi, ma eliminando le ragioni che li rendono tali”, “le ragioni che spingono tanta gente, soprattutto fra i giovani, nelle file della Jihad.”
Stiamo combattendo un Frankeinstein che ci incute un giustificato terrore, ma chi ha dato vita a questo “mostro”? Chi o cosa gli ha permesso non solo di sopravvivere, ma anche di accrescere le proprie forze fino a diventare un nemico pericolosissimo? Siamo sicuri che il terrorismo non abbia nulla a che fare con noi? “Il problema del come sopravvivere al confronto con l’Occidente mantenendo una propria identità si è posto ovviamente nel corso del secolo scorso anche per i musulmani e anche per loro le risposte hanno oscillato fra il rifugio nel tradizionale (...) e varie forme di occidentalizzazione.”
La Storia del secolo scorso ha fatto sì che alla fine dei giochi si imponesse un solo potere e un solo punto di vista: quello occidentale, incarnato dal modello americano ma ormai talmente globalizzato da non lasciare spazio nemmeno alla concezione di una possibile alternativa. E fin quando non ci entrerà in testa che non siamo noi i possessori della Verità assoluta, non andremo da nessuna parte. “Il problema è che fino a quando penseremo di avere il monopolio del bene, fino a quando parleremo della nostra come della ‘civiltà’, ignorando le altre, non saremo sulla buona strada.”
È questa la grande sfida che ci lancia Terzani, è questa la grande occasione invocata: imparare a vedere il mondo nel suo insieme e non solo dal nostro punto di vista.
E poi siamo davvero così sicuri che il nostro sia il miglior modello possibile? Siamo davvero così sicuri che i nostri valori siano i più elevati e di avere perciò il diritto di imporli con la forza?
“Anni di sfrenato materialismo hanno ridotto e marginalizzato il ruolo della morale nella vita della gente. Facendo di valori come il denaro, il successo, il tornaconto personale il solo metro di giudizio, senza tempo di fermarsi a riflettere, preso sempre più nell’ingranaggio di una vita altamente competitiva che lascia sempre meno spazio al privato, l’uomo del benessere e dei consumi ha come perso la sua capacità di commuoversi e di indignarsi. È tutto concentrato su di sè, non ha occhi nè cuore per quel che gli succede attorno. È questo nuovo tipo di uomo occidentale cinico e insensibile, egoista e politicamente corretto, qualunque sia la politica, prodotto della nostra società di sviluppo e ricchezza, che oggi mi fa paura quanto l’uomo col kalashnikov e l’aria da grande tagliagole che ora è ad ogni angolo di strada a Kabul.”
Allora qual è l’interpretazione giusta? Noi i cattivi e loro i buoni? Ovviamente no. Lettere contro la guerra non vuole essere un’apologia al terrorismo, non un atto di debolezza o di sottomissione e nemmeno un esempio di buonismo. Al contrario questo libro è una spina al fianco della nostra autostima, della nostra rabbia e del nostro orgoglio. È l’occasione che ci viene data per un ripensamento che non può non partire che da noi stessi, dalla coscienza individuale di ognuno di noi. Un’occasione per dubitare di ciò che ci viene detto e di ciò che istintivamente saremmo portati a pensare e a provare.
“Dubitare è una funzione essenziale del pensiero, il dubbio è il fondo della nostra cultura. Voler togliere il dubbio dalle nostre teste è come voler togliere l’aria ai nostri polmoni”
Da leggere assolutamente.
“Se noi davvero crediamo nella santità della vita, dobbiamo accettare la santità di tutte le vite.”