duBois, Jennifer - Storia parziale delle cause perse

bouvard

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Come si fa a giocare una partita che si sa essere persa già in partenza?
Questa è la domanda da cui parte la duBois per raccontarci la storia di Irina Ellison. In effetti la storia parte un po’ prima, quando al padre di Irina viene diagnosticata una rara malattia genetica: la corea di Huntington, una malattia degenerativa per la quale non esistono cure e che porta ad una lenta morte (in quanto la perdita delle capacità motorie prima e di quelle intellettive poi fa sì che per i quindici/venti anni che dura la malattia non si possa parlare di vita, quanto piuttosto di una lenta morte). Trattandosi di malattia genetica la nostra Irina deve fare il test per vedere se è stata tanto fortunata da ereditarla e… lo è stata!
Immaginate per un attimo di avere vent’anni e venire a sapere che avete ereditato una malattia che non vi farà fare certo una bella morte, dire che il mondo vi crolla addosso è dire poco. Ma questa malattia può essere, in alcuni casi, ancora più bastarda, semmai ce ne fosse bisogno, perché se si eredita da parte paterna allora si sviluppa ancora più precocemente.
Così a vent’anni Irina non solo scopre che svilupperà una malattia incurabile, ma scopre anche che i primi sintomi cominceranno a manifestarsi tra i trentadue e i trentaquattro anni. E come se qualcuno a vent’anni vi dicesse che vi restano dodici/quattordici anni di vita. Cosa fare? Vivere più intensamente possibile o incaz*** ogni giorno con Dio? Perché Irina non ha neppure la possibilità di illudersi sulla gravità dei sintomi, non può dirsi che forse i medici sono stati troppo esagerati nel descriverglieli, perché lei vede quotidianamente i loro effetti sul padre.
Dopo la morte di questi, mettendo ordine tra le sue scartoffie, Irina trova una lettera indirizzata dal padre, appassionato di scacchi, al campione del mondo di scacchi degli anni Ottanta Aleksander Bezetov, in cui gli chiedeva appunto come si fa a giocare una partita che si sa persa in partenza. Perché un bravo giocatore di scacchi (quindi non io!) sa prevedere le possibili prossime quindici/venti mosse, quindi sa con un certo anticipo se sta giocando una partita in cui ha qualche possibilità di vincere o se invece sta giocando una partita persa. Irina decide quindi di partire per la Russia per ottenere quella risposta.
E da qui il libro prende una piega che non mi è piaciuta e mi ha lasciata perplessa. Con simili premesse io mi aspettavo un libro più psicologico, più introspettivo, più lacerante emotivamente, francamente non mi aspettavo che il libro virasse totalmente verso il “politico”.
Il libro è un alternarsi di capitoli in cui si racconta la vita di Irina e capitoli in cui si racconta quella di Aleksander e ovviamente in questi ultimi l’argomento “politica” la fa da padrona, d’altronde all’inizio della storia siamo negli anni pre-Gorbaciov, quindi anni di repressione, corruzione, in cui il Partito controllava tutto e di più. Irina incontra Bezetov nel 2006 quando questi è in lizza per le elezioni presidenziali contro Putin. Quindi il libro si sofferma a ricordare tutta una serie di fatti realmente accaduti (di cui ahimè io mi ero completamente dimenticata) per mostrare alcuni degli scheletri nell’armadio di Putin.
Intendiamoci bene questi atti di accusa contro Putin mi troveranno sempre d’accordo, ma un conto è trovarli in un saggio, in un romanzo a sfondo politico ecc altro conto è trovarli in un libro da cui ti aspetti ben altro. Non che la duBois sia andata, come si diceva a scuola, fuori tema perché la piega presa dal libro ci sta pure, nel senso che la “partita politica” che Bezetov sta giocando contro Putin è anche questa una partita persa in partenza, ma perdere “una partita riguardo la salute” e perdere “una partita politica” secondo me non sono due cose paragonabili. Una sconfitta politica non è quasi mai un “game over”, perché ti resta pur sempre la vita, quindi è un perdere una battaglia che non significa necessariamente perdere anche la guerra, il primo caso è invece il “game over” per eccellenza! Da un libro con queste premesse io mi aspettavo soprattutto pathos, coinvolgimento, un riconoscermi in certi dolori o in certe domande, non mi aspettavo un libro sulla politica russa e sulle sue nefandezze.
Ripeto non posso dire che il libro sia brutto, o scritto male, ma è come se fossi stata invitata ad un pranzo di specialità siciliane e arrivati alla fine invece di un cannolo o di una cassata mi avessero messo davanti una fetta di pandoro che, per carità, di buono è buono, ma non è quello che mi aspettavo.​
 
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