Fin dalle prime pagine sembra di trovarsi davanti a uno schermo in cui viene proiettato un film americano, un film di quelli che, piacciano o non piacciano, divengono in qualche modo parte della cultura dello spettatore. La scena è quella di un funerale, ma è un funerale senza salma: il giovane Rick è disperso in Iraq e i familiari piangono su un corpo che non c'è. Sullo sfondo la cittadina immaginaria di New Canaan, che ha le sembianze e lo squallore della provincia americana così come siamo abituati a vederla descritta. Tra i presenti - e anche tra gli assenti - solo qualcuno è veramente addolorato; c'è chi prova rabbia, chi contrarietà nei confronti di una guerra inutile e della retorica della celebrazione, chi si finge turbato ma in realtà non vede l'ora di scappare. Dopo questa efficace presentazione del mondo narrativo che attende il lettore, la scena cambia e iniziano i lunghi monologhi di quattro amici ed ex compagni di scuola di Rick i quali, qualche anno dopo la sua morte e a circa dieci anni dalla fine del liceo, si ri-incontrano a New Canaan, città da loro lasciata molto tempo prima. Il primo a parlare è Bill, migliore amico di Rick con il quale tuttavia i rapporti si erano raffreddati sia per motivi personali che politici. Bill si era ribellato al sistema, odiava quell'inutile guerra post 11 settembre, ed era solo in un ambiente mentalmente ristretto in cui ciò che più contava erano Dio, patria e famiglia. Dieci anni dopo non ha abbandonato i suoi ideali, ma neppure l'alcol, le droghe e la tendenza a mettersi nei guai. E' poi la volta di Stacey, alle prese con il lungo percorso di accettazione della propria omosessualità, che a New Canaan e nella sua famiglia era ritenuta scandalosa e perversa; di Dan, reduce dalla guerra in Iraq e da essa ferito irreversibilmente nel corpo e nell'anima; e infine di Tina, fragile ex ingenua profondamente devastata da un'adolescenza feroce e squallida. I monologhi hanno un tono diverso tra loro: quello di Stacey è un po' meno angosciante rispetto a quello di Bill, seppure contenga diverse scioccanti rivelazioni; poi si passa al tono malinconico di Dan, per concludere con l'agghiacciante storia di Tina. All'interno dei monologhi prendono vita altri personaggi affatto secondari, sebbene non parlino in prima persona: genitori ipocriti e indifferenti, compagni marci fino al midollo che hanno segnato le vite dei protagonisti, ragazze difficili, crudeli e desiderate. Sempre presente, come una cappa grigia che incombe su New Canaan e invade l'animo dei protagonisti senza mai lasciarli, la loro adolescenza inquieta e con lei il segreto che verrà svelato solo alla fine e che riguarda un "omicidio che non c'è mai stato".
Questo è per me uno straordinario romanzo d'esordio in cui l'autore, con una scrittura insieme poetica e sferzante, ricca di espressioni e metafore originali e azzardate spesso riuscite, altre volte un po' forzate, ma sempre incisive e coraggiose, viaggia sapientemente nel tempo - passato e presente si alternano di continuo ma senza confondere - e nelle menti dei personaggi, scavando in profondità e mostrando tutto il marcio che esiste nella provincia in cui vivono. Un mondo ipocrita e controverso, dominato da un retorico moralismo religioso e, insieme, dalla perversione e dalla crudeltà: per creare torbidi meccanismi sono sufficienti pochi, carismatici elementi e, nello squallore della provincia che offre ben poco da ogni punto di vista, toccare il fondo è facile. Le vite dei quattro narratori e dei loro amici-nemici emergono pian piano dal loro buio e vengono svelate gettando il lettore in un buio ancora più profondo, legato al fatto che l'autore sembra non vedere via d'uscita per chi vive in un determinato contesto: l'unico modo per salvarsi è la fuga, ma spesso non basta, perché il passato è sempre lì, in agguato. Ciò che si è stati determina ciò che si è, da lì non si scappa.
C'è un mistero la cui soluzione, alla fine, appare chiara, ed è solo uno dei tanti colpi di scena. Ma vivere Ohio come un romanzo di trama sarebbe riduttivo: si tratta di un libro di ampio respiro che analizza a fondo l'uomo e la società sia sotto l'aspetto più intimistico che sotto quello sociale, ambientale, politico.
E' un libro che fa male, per me un libro bellissimo.
Questo è per me uno straordinario romanzo d'esordio in cui l'autore, con una scrittura insieme poetica e sferzante, ricca di espressioni e metafore originali e azzardate spesso riuscite, altre volte un po' forzate, ma sempre incisive e coraggiose, viaggia sapientemente nel tempo - passato e presente si alternano di continuo ma senza confondere - e nelle menti dei personaggi, scavando in profondità e mostrando tutto il marcio che esiste nella provincia in cui vivono. Un mondo ipocrita e controverso, dominato da un retorico moralismo religioso e, insieme, dalla perversione e dalla crudeltà: per creare torbidi meccanismi sono sufficienti pochi, carismatici elementi e, nello squallore della provincia che offre ben poco da ogni punto di vista, toccare il fondo è facile. Le vite dei quattro narratori e dei loro amici-nemici emergono pian piano dal loro buio e vengono svelate gettando il lettore in un buio ancora più profondo, legato al fatto che l'autore sembra non vedere via d'uscita per chi vive in un determinato contesto: l'unico modo per salvarsi è la fuga, ma spesso non basta, perché il passato è sempre lì, in agguato. Ciò che si è stati determina ciò che si è, da lì non si scappa.
C'è un mistero la cui soluzione, alla fine, appare chiara, ed è solo uno dei tanti colpi di scena. Ma vivere Ohio come un romanzo di trama sarebbe riduttivo: si tratta di un libro di ampio respiro che analizza a fondo l'uomo e la società sia sotto l'aspetto più intimistico che sotto quello sociale, ambientale, politico.
E' un libro che fa male, per me un libro bellissimo.