qweedy
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"Yvetot, giugno 1952. L’universo del bar-alimentari dell’infanzia di Ernaux viene sconvolto da un episodio spartiacque, terrificante: durante una lite il padre cerca di uccidere la madre, salvata forse solo dal provvidenziale intervento della figlia dodicenne. Attraverso il quotidiano confronto con le compagne di scuola, tutte borghesi, il rapporto con il mondo di provenienza – violento, contadino, operaio, non istruito – adesso si incrina. Lo «sguardo degli altri» si fa d’un tratto macigno, capace di schiacciare ogni slancio e condizionare ogni gesto. E’ il libro in cui, come non mai, Ernaux affronta di petto l’indicibile: il trauma e la vergogna che hanno acceso in lei il desiderio di ribellarsi e di scrivere".
Annie Ernaux parte da un episodio della sua vita che è stato uno spartiacque tra la sua innocenza di bambina vissuta in un mondo che per lei era l’unico possibile, e la presa di coscienza di un sentimento, la vergogna, che quel mondo lo ha messo totalmente in discussione. La memoria torna indietro all’estate del 1952, a quella domenica in cui «Mio padre ha voluto uccidere mia madre». Un episodio violento, uno scatto d’ira degenerato in violenza familiare, sotto gli occhi atterriti di una bambina di dodici anni a cui non serviranno le parole rassicuranti della madre, «Non è successo niente», per cancellarlo e che, anzi, porterà quella scena come una cicatrice viva fino da adulta. E' un episodio indicibile, che non può essere raccontato a nessuno.
L'autrice ricostruisce con spietata lucidità la presa di consapevolezza di tutto ciò che l'ha fatta vergognare nell’infanzia: la miseria, l’ubriachezza del padre, la latrina in cortile, l’emarginazione sociale, dormire in tre nello stesso ambiente, le parolacce e la volgarità della madre, la “vergogna come ripetizione e accumulo”.
E' facile riconoscersi e riconoscere il conformismo e il perbenismo degli anni Cinquanta nella frase ricorrente pronunciata dalla madre “Altrimenti cosa penseranno di noi”.
Scritto nel 1996, di sole 125 pagine, è un piccolo gioiello. Come sempre Annie Ernaux parte dal suo contesto familiare e personale per allargarsi alla società e all'epoca in cui è vissuta. Gli episodi da lei vissuti e raccontati diventano storia ed è facile per il lettore riconoscersi.
“L’aspetto peggiore della vergogna è che si crede di essere gli unici a provarla”
"Nella vergogna c’è questo: la sensazione che possa accaderci qualsiasi cosa, che non ci sia scampo, che alla vergogna possa seguire soltanto una vergogna ancora." maggiore.
"Ho riportato alla luce i codici e le regole degli ambienti in cui ero rinchiusa. Ho inventariato i linguaggi dei quali ero impregnata e che plasmavano la mia percezione di me stessa e del mondo circostante. Là dentro, non c’era alcuno spazio per la scena di quella domenica. In entrambe i mondi che sono stati i miei non poteva essere raccontata a nessuno".
Annie Ernaux parte da un episodio della sua vita che è stato uno spartiacque tra la sua innocenza di bambina vissuta in un mondo che per lei era l’unico possibile, e la presa di coscienza di un sentimento, la vergogna, che quel mondo lo ha messo totalmente in discussione. La memoria torna indietro all’estate del 1952, a quella domenica in cui «Mio padre ha voluto uccidere mia madre». Un episodio violento, uno scatto d’ira degenerato in violenza familiare, sotto gli occhi atterriti di una bambina di dodici anni a cui non serviranno le parole rassicuranti della madre, «Non è successo niente», per cancellarlo e che, anzi, porterà quella scena come una cicatrice viva fino da adulta. E' un episodio indicibile, che non può essere raccontato a nessuno.
L'autrice ricostruisce con spietata lucidità la presa di consapevolezza di tutto ciò che l'ha fatta vergognare nell’infanzia: la miseria, l’ubriachezza del padre, la latrina in cortile, l’emarginazione sociale, dormire in tre nello stesso ambiente, le parolacce e la volgarità della madre, la “vergogna come ripetizione e accumulo”.
E' facile riconoscersi e riconoscere il conformismo e il perbenismo degli anni Cinquanta nella frase ricorrente pronunciata dalla madre “Altrimenti cosa penseranno di noi”.
Scritto nel 1996, di sole 125 pagine, è un piccolo gioiello. Come sempre Annie Ernaux parte dal suo contesto familiare e personale per allargarsi alla società e all'epoca in cui è vissuta. Gli episodi da lei vissuti e raccontati diventano storia ed è facile per il lettore riconoscersi.
“L’aspetto peggiore della vergogna è che si crede di essere gli unici a provarla”
"Nella vergogna c’è questo: la sensazione che possa accaderci qualsiasi cosa, che non ci sia scampo, che alla vergogna possa seguire soltanto una vergogna ancora." maggiore.
"Ho riportato alla luce i codici e le regole degli ambienti in cui ero rinchiusa. Ho inventariato i linguaggi dei quali ero impregnata e che plasmavano la mia percezione di me stessa e del mondo circostante. Là dentro, non c’era alcuno spazio per la scena di quella domenica. In entrambe i mondi che sono stati i miei non poteva essere raccontata a nessuno".