Figlio di una madre devota e di un padre inaffidabile, Theo Decker sopravvive, appena tredicenne, all’attentato terroristico che in un istante manda in pezzi la sua vita. Solo a New York, senza parenti né un posto dove stare, viene accolto dalla ricca famiglia di un suo compagno di scuola. A disagio nella sua nuova casa di Park Avenue, isolato dagli amici e tormentato dall’acuta nostalgia nei confronti della madre, Theo si aggrappa alla cosa che più di ogni altra ha il potere di fargliela sentire vicina: un piccolo quadro dal fascino singolare che, a distanza di anni, lo porterà ad addentrarsi negli ambienti pericolosi della criminalità internazionale.
Nel frattempo, Theo cresce, diventa un uomo, si innamora e impara a scivolare con disinvoltura dai salotti più chic della città al polveroso labirinto del negozio di antichità in cui lavora. Finché, preda di una pulsione autodistruttiva impossibile da controllare, si troverà coinvolto in una rischiosa partita dove la posta in gioco è il suo talismano, il piccolo quadro raffigurante un cardellino che forse rappresenta l’innocenza perduta e la bellezza che, sola, può salvare il mondo. Tra le luci dell’Upper East Side di New York e la desolazione della periferia di Las Vegas, tra capolavori rubati e fughe vertiginose lungo i canali di Amsterdam, Il cardellino è un romanzo meravigliosamente scritto che si legge come un thriller. Primo assoluto nelle classifiche di Stati Uniti, Francia e Olanda, osannato dalla critica in patria come all’estero, è l’evento letterario dell’anno.
Ho sentito e letto, per anni, lodi sperticate e quasi unanimi su questo romanzo e, in linea generale, non posso discostarmi dalla massa nel definirlo un buon romanzo: lo è, senza dubbio. Tuttavia, se in barba alla prolissità della Tartt volessi sintetizzare il mio commento in due parole, credo che direi "bello., ma…" e farei spallucce per chiarire meglio il punto di vista. Concretizzando e rendendo a parole il mio pensiero alquanto criptico, Il cardellino è un romanzo originale, lungo, complesso, che racconta la storia tristissima e realistica di un bambino di tredici anni, Theo Decker, che vede trasformarsi una normale mattina al museo nell'evento più tragico della sua vita, un evento che gliela cambierà irrimediabilmente, la vita. È il lungo memoir, il racconto sincero e senza filtri di un trentenne che rivive la sua vita dai tredici anni in poi, in un'autoanalisi onesta e spietata attraverso i primi mesi a New York presso la casa della famiglia di un amico, al folle periodo a Las Vegas, al tentativo fallito di riprendere i rapporti col padre, alla conoscenza con quello che diverrà uno dei suoi più grandi amici, al ritorno rocambolesco e drammatico nella sua città, al nuovo inizio, arrancando negli anni difficili dell'adolescenza, attraverso esperienze segnanti che lo macchieranno in modo indelebile. Sono tante le persone intorno a lui, tutte con un ruolo importante nella sua crescita, nel suo plasmarsi verso la persona che sarà. Ma più di tutto, ciò che risalta in questa storia è il rapporto con gli oggetti, e in particolare con gli oggetti d'arte, con gli oggetti che emanano bellezza. È come se per Theo fossero ancore tangibili e immutabili, reliquie, amuleti da preservare con la massima cura, quasi con sacralità, perché capaci di risollevarlo, di opporsi al brutto del mondo che lo circonda. È forte, la storia di Theo, è bella, a tratti commovente, a tratti adrenalinica, molto molto spesso estremamente triste. Eppure… non so cosa, in queste pagine, non mi abbia del tutto convinta: forse l'eccessiva lentezza e ripetitività di alcuni tratti, forse alcune scelte narrative un po' azzardate (la seconda parte, con Boris, l'escamotage dei vuoti di memoria…, la trasferta in Olanda…), forse anche lo spiegone finale mi ha irritata perché non l'ho trovato in linea con tutto il resto del romanzo e, in particolare, con il modo di raccontare di Theo. In definitiva, per quanto mi riguarda, Il cardellino è un ottimo romanzo che consiglio, ma che non è riuscito a sfondare la pur fragile barriera del mio cuore letterario e a conquistarmi.
Nel frattempo, Theo cresce, diventa un uomo, si innamora e impara a scivolare con disinvoltura dai salotti più chic della città al polveroso labirinto del negozio di antichità in cui lavora. Finché, preda di una pulsione autodistruttiva impossibile da controllare, si troverà coinvolto in una rischiosa partita dove la posta in gioco è il suo talismano, il piccolo quadro raffigurante un cardellino che forse rappresenta l’innocenza perduta e la bellezza che, sola, può salvare il mondo. Tra le luci dell’Upper East Side di New York e la desolazione della periferia di Las Vegas, tra capolavori rubati e fughe vertiginose lungo i canali di Amsterdam, Il cardellino è un romanzo meravigliosamente scritto che si legge come un thriller. Primo assoluto nelle classifiche di Stati Uniti, Francia e Olanda, osannato dalla critica in patria come all’estero, è l’evento letterario dell’anno.
Ho sentito e letto, per anni, lodi sperticate e quasi unanimi su questo romanzo e, in linea generale, non posso discostarmi dalla massa nel definirlo un buon romanzo: lo è, senza dubbio. Tuttavia, se in barba alla prolissità della Tartt volessi sintetizzare il mio commento in due parole, credo che direi "bello., ma…" e farei spallucce per chiarire meglio il punto di vista. Concretizzando e rendendo a parole il mio pensiero alquanto criptico, Il cardellino è un romanzo originale, lungo, complesso, che racconta la storia tristissima e realistica di un bambino di tredici anni, Theo Decker, che vede trasformarsi una normale mattina al museo nell'evento più tragico della sua vita, un evento che gliela cambierà irrimediabilmente, la vita. È il lungo memoir, il racconto sincero e senza filtri di un trentenne che rivive la sua vita dai tredici anni in poi, in un'autoanalisi onesta e spietata attraverso i primi mesi a New York presso la casa della famiglia di un amico, al folle periodo a Las Vegas, al tentativo fallito di riprendere i rapporti col padre, alla conoscenza con quello che diverrà uno dei suoi più grandi amici, al ritorno rocambolesco e drammatico nella sua città, al nuovo inizio, arrancando negli anni difficili dell'adolescenza, attraverso esperienze segnanti che lo macchieranno in modo indelebile. Sono tante le persone intorno a lui, tutte con un ruolo importante nella sua crescita, nel suo plasmarsi verso la persona che sarà. Ma più di tutto, ciò che risalta in questa storia è il rapporto con gli oggetti, e in particolare con gli oggetti d'arte, con gli oggetti che emanano bellezza. È come se per Theo fossero ancore tangibili e immutabili, reliquie, amuleti da preservare con la massima cura, quasi con sacralità, perché capaci di risollevarlo, di opporsi al brutto del mondo che lo circonda. È forte, la storia di Theo, è bella, a tratti commovente, a tratti adrenalinica, molto molto spesso estremamente triste. Eppure… non so cosa, in queste pagine, non mi abbia del tutto convinta: forse l'eccessiva lentezza e ripetitività di alcuni tratti, forse alcune scelte narrative un po' azzardate (la seconda parte, con Boris, l'escamotage dei vuoti di memoria…, la trasferta in Olanda…), forse anche lo spiegone finale mi ha irritata perché non l'ho trovato in linea con tutto il resto del romanzo e, in particolare, con il modo di raccontare di Theo. In definitiva, per quanto mi riguarda, Il cardellino è un ottimo romanzo che consiglio, ma che non è riuscito a sfondare la pur fragile barriera del mio cuore letterario e a conquistarmi.