Palmaria
Summer Member
Campo di concentramento di Natzweiler-Struhof sui Vosgi. L'uomo che vi arriva, una domenica pomeriggio insieme a un gruppo di turisti, non è un visitatore qualsiasi: è un ex deportato che a distanza di anni è voluto tornare nei luoghi dove era stato internato. Subito, di fronte alle baracche e al filo spinato trasformati in museo, il flusso della memoria comincia a scorrere e i ricordi riaffiorano con il loro carico di dolore e di rabbia. Ritornano la sofferenza per la fame e il freddo, l'umiliazione per le percosse e gli insulti, la pena profondissima per quanti, i più, non ce l'hanno fatta. E come fotogrammi di una pellicola, impressa nel corpo e nell'anima, si snodano le infinite vicende che parlano di un orrore che in nessun modo si riesce a spiegare, ma insieme i tanti episodi di solidarietà tra prigionieri, di una umanità mai del tutto sconfitta, di un desiderio di vivere che neanche in circostanze così drammatiche si è mai perso completamente.
Un romanzo meraviglioso, per quanto possa essere definita meravigliosa una testimonianza di come veniva vissuta la morte nei campi di sterminio anche da parte di chi ebreo non era, ma in tutta Europa aveva aderito ad ideali antifascisti, come, appunto, l'autore.
Questo libro ha il merito di creare nel lettore immagini vivide della quotidianità nei campi, attraverso una scrittura estremamente realistica e precisa, in cui gli uomini, che tali più non sono, sono generalmente indicati come crani rasati, ossa, addirittura legni, non più persone.
Pahor riesce a far percepire in maniera straordinaria, descrivendo episodi realmente accaduti, come l'abbruttimento nei campi di sterminio, dove l'unico obiettivo era preservare quanto più calore possibile nelle giornate trascorse all'aperto ad oltre dieci gradi sotto lo zero e vestiti solo di iuta, ed attendere per diciotto ore qualche cucchiaiata di brodaglia acquosa, spingesse suo malgrado ogni deportato a far prevalere l'istinto di sopravvivenza sulla solidarietà e lo spirito cameratesco, che tuttavia talvolta riuscivano ancora a fare capolino.
Perchè, nonostante tutto, il messaggio trasmesso da Pahor sembra essere positivo, lui crede ancora nella bontà degli uomini e non si sente neppure di criticare i visitatori dei lager, che non hanno gli strumenti per comprendere appieno le atrocità commesse lì dentro qualche decennio prima: l'importante è che comunque non si dimentichi!
Capolavoro!
Un romanzo meraviglioso, per quanto possa essere definita meravigliosa una testimonianza di come veniva vissuta la morte nei campi di sterminio anche da parte di chi ebreo non era, ma in tutta Europa aveva aderito ad ideali antifascisti, come, appunto, l'autore.
Questo libro ha il merito di creare nel lettore immagini vivide della quotidianità nei campi, attraverso una scrittura estremamente realistica e precisa, in cui gli uomini, che tali più non sono, sono generalmente indicati come crani rasati, ossa, addirittura legni, non più persone.
Pahor riesce a far percepire in maniera straordinaria, descrivendo episodi realmente accaduti, come l'abbruttimento nei campi di sterminio, dove l'unico obiettivo era preservare quanto più calore possibile nelle giornate trascorse all'aperto ad oltre dieci gradi sotto lo zero e vestiti solo di iuta, ed attendere per diciotto ore qualche cucchiaiata di brodaglia acquosa, spingesse suo malgrado ogni deportato a far prevalere l'istinto di sopravvivenza sulla solidarietà e lo spirito cameratesco, che tuttavia talvolta riuscivano ancora a fare capolino.
Perchè, nonostante tutto, il messaggio trasmesso da Pahor sembra essere positivo, lui crede ancora nella bontà degli uomini e non si sente neppure di criticare i visitatori dei lager, che non hanno gli strumenti per comprendere appieno le atrocità commesse lì dentro qualche decennio prima: l'importante è che comunque non si dimentichi!
Capolavoro!