Due spari nella notte, le finestre che si aprono e subito dopo un grido: «Tutti dentro, lo spettacolo è finito!» Siamo a Ostia, nel 2013, e tra gli abitanti di quei palazzi c’è anche Federica Angeli, cronista di nera per le pagine romane di «la Repubblica», che in quella periferia è nata e cresciuta. Da tempo si occupa dei clan locali e ha subìto gravi minacce. Sa quindi come è fatta la paura, ma crede che l’altra faccia della paura sia il coraggio. Se i vicini rientrano obbedienti al comando del boss, lei decide di denunciare ciò che ha visto. Dal giorno dopo la sua vita è stravolta: per la sua incolumità le è assegnata una scorta, eppure nessuna intimidazione fa vacillare la sua fede in un noi con cui condividere la lotta per la legalità. La storia giudiziaria di cui è protagonista fino alle più recenti sentenze ci parla di una possibile seppur faticosa vittoria, confermando che tutti insieme possiamo alzare la testa e cambiare in meglio. Federica Angeli ha ottenuto questa vittoria con l’unica arma che possiede, la penna, e in queste pagine ci racconta le tappe di una vera e propria sfida alla malavita, nel solco di un giornalismo nobile, illuminato di etica civile, che non compiace mai null’altro che la verità, con una coerenza a tratti severa. In un susseguirsi di colpi di scena, viviamo con lei le sue paure, a tratti la disperazione e i momenti di solitudine. La sua testimonianza puntuale, incalzante, senza respiro non dimentica mai la sua dimensione di donna, di madre e di moglie contesa alla serenità famigliare. Una serenità che, ispirata dalla Vita è bella di Benigni, Federica Angeli riesce magicamente a preservare, coinvolgendo i figli in un gioco alla guerra.
Ho letteralmente divorato questo libro in un pomeriggio. In 384 pagine densissime di contenuti, lotta, vita, Federica Angeli condensa anni di impegno civile e sociale nella lotta alla mafia capitolina… sì, perché contrariamente a quanto volevano credere in molti, a Roma la mafia c'è, esiste, si sviluppa come ovunque, nel silenzio, all'ombra di uno Stato la cui assenza è troppo pesante, di una politica che distoglie lo sguardo e preferisce che ai bisogni dei cittadini pensino i mafiosi.
Erano anni che, da cronista che vive sul territorio, Federica Angeli si occupava dei clan lidensi, ma quando, quel giorno di maggio del 2013, va coi suoi cameramen ad intervistare il gestore di un locale, ritrovandosi davanti uno dei Boss del clan Spada, non immagina ancora in che inferno sta andando a cacciarsi. Non lo sa, ma lo intuisce quando, in quella prima conversazione, il Boss dimostra di conoscere lei e i suoi affetti più cari molto da vicino. Poteva desistere lì, Federica, invece no, lei si incaponisce, torna sul luogo, porta a termine l'inchiesta… e non sa che ancora questo non è niente. Perciò quando, nella notte tra il 16 e il 17 luglio 2013, dal balcone di casa sua assiste alla sparatoria avvenuta dall'altro lato della strada, lei che quei volti li conosce tutti perché ci vive in quella città, non ha dubbi, va a denunciare l'accaduto. E' solo una delle tante denunce che farà negli anni, ma è forse quella che più di tutte le cambierà la vita: dal mattino dopo, Federica è sotto scorta, su di lei si scatena un'ondata di minacce, fango, demolizione professionale e mediatica non indifferente: è entrata nel mirino dei clan e non ne uscirà facilmente. Ha inizio così un tempo infinito di limitazioni, privazione della propria libertà, indipendenza, gestione della quotidianità; di tensioni familiari, di coppia, con i figli. Ma Federica, nonostante il peso crescente, non tentenna, non molla, non ha mai dubbi: lo fa per i suoi figli, perché domani non debbano più vivere con l'ombra incombente della mafia nella loro strada, sotto casa, nel bar o nel ristorante dove vanno a mangiare. Lo fa per tutti noi, Federica, ma lo fa soprattutto affinché siamo noi a prendere in mano il coraggio, ad attivarci, a difendere il nostro territorio dalla corruzione, delinquenza, dai soprusi, dall'ingiustizia. E' una giornalista, Federica, ma è prima di tutto una cittadina normale, una donna, moglie, madre, figlia… come lo siamo tutti.
Leggere A mano disarmata è stato non solo interessante dal punto di vista culturale, ma soprattutto è stato per me un costringermi a chiedermi "cosa sto facendo io? Cosa posso fare? Perché mi rassegno e non mi ribello più davanti ai soprusi, alle ingiustizie?" Non saranno la mafia, ma vale comunque, sempre, la pena di non cedere, di non voltarsi dall'altra parte, di non abbassare la testa e piegare la schiena. Perciò grazie a Federica Angeli e alle persone come lei, perché con il loro impegno ci ricordano che tutti possiamo… dobbiamo fare qualcosa, per noi stessi, per chi amiamo, per la nostra società.
Ho letteralmente divorato questo libro in un pomeriggio. In 384 pagine densissime di contenuti, lotta, vita, Federica Angeli condensa anni di impegno civile e sociale nella lotta alla mafia capitolina… sì, perché contrariamente a quanto volevano credere in molti, a Roma la mafia c'è, esiste, si sviluppa come ovunque, nel silenzio, all'ombra di uno Stato la cui assenza è troppo pesante, di una politica che distoglie lo sguardo e preferisce che ai bisogni dei cittadini pensino i mafiosi.
Erano anni che, da cronista che vive sul territorio, Federica Angeli si occupava dei clan lidensi, ma quando, quel giorno di maggio del 2013, va coi suoi cameramen ad intervistare il gestore di un locale, ritrovandosi davanti uno dei Boss del clan Spada, non immagina ancora in che inferno sta andando a cacciarsi. Non lo sa, ma lo intuisce quando, in quella prima conversazione, il Boss dimostra di conoscere lei e i suoi affetti più cari molto da vicino. Poteva desistere lì, Federica, invece no, lei si incaponisce, torna sul luogo, porta a termine l'inchiesta… e non sa che ancora questo non è niente. Perciò quando, nella notte tra il 16 e il 17 luglio 2013, dal balcone di casa sua assiste alla sparatoria avvenuta dall'altro lato della strada, lei che quei volti li conosce tutti perché ci vive in quella città, non ha dubbi, va a denunciare l'accaduto. E' solo una delle tante denunce che farà negli anni, ma è forse quella che più di tutte le cambierà la vita: dal mattino dopo, Federica è sotto scorta, su di lei si scatena un'ondata di minacce, fango, demolizione professionale e mediatica non indifferente: è entrata nel mirino dei clan e non ne uscirà facilmente. Ha inizio così un tempo infinito di limitazioni, privazione della propria libertà, indipendenza, gestione della quotidianità; di tensioni familiari, di coppia, con i figli. Ma Federica, nonostante il peso crescente, non tentenna, non molla, non ha mai dubbi: lo fa per i suoi figli, perché domani non debbano più vivere con l'ombra incombente della mafia nella loro strada, sotto casa, nel bar o nel ristorante dove vanno a mangiare. Lo fa per tutti noi, Federica, ma lo fa soprattutto affinché siamo noi a prendere in mano il coraggio, ad attivarci, a difendere il nostro territorio dalla corruzione, delinquenza, dai soprusi, dall'ingiustizia. E' una giornalista, Federica, ma è prima di tutto una cittadina normale, una donna, moglie, madre, figlia… come lo siamo tutti.
Leggere A mano disarmata è stato non solo interessante dal punto di vista culturale, ma soprattutto è stato per me un costringermi a chiedermi "cosa sto facendo io? Cosa posso fare? Perché mi rassegno e non mi ribello più davanti ai soprusi, alle ingiustizie?" Non saranno la mafia, ma vale comunque, sempre, la pena di non cedere, di non voltarsi dall'altra parte, di non abbassare la testa e piegare la schiena. Perciò grazie a Federica Angeli e alle persone come lei, perché con il loro impegno ci ricordano che tutti possiamo… dobbiamo fare qualcosa, per noi stessi, per chi amiamo, per la nostra società.