Jessamine
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TRAMA
L'amica geniale comincia seguendo le due protagoniste bambine, e poi adolescenti, tra le quinte di un rione miserabile della periferia napoletana, tra una folla di personaggi minori accompagnati lungo il loro percorso con attenta assiduità. L'autrice scava intanto nella natura complessa dell'amicizia tra due bambine, tra due ragazzine, tra due donne, seguendo passo passo la loro crescita individuale, il modo di influenzarsi reciprocamente, i buoni e i cattivi sentimenti che nutrono nei decenni un rapporto vero, robusto. Narra poi gli effetti dei cambiamenti che investono il rione, Napoli, l'Italia, in più di un cinquantennio, trasformando le amiche e il loro legame. E tutto ciò precipita nella pagina con l'andamento delle grandi narrazioni popolari, dense e insieme veloci, profonde e lievi, rovesciando di continuo situazioni, svelando fondi segreti dei personaggi, sommando evento a evento senza tregua, ma con la profondità e la potenza di voce a cui l'autrice ci ha abituati... Non vogliamo dirvi altro per non guastare il piacere della lettura. Torniamo invece all'inizio. Dicevamo che L'amica geniale appartiene a quel genere di libro che si vorrebbe non finisse mai. E infatti non finisce. O, per dire meglio, porta compiutamente a termine in questo primo romanzo la narrazione dell'infanzia e dell'adolescenza di Lila e di Elena, ma ci lascia sulla soglia di nuovi grandi mutamenti che stanno per sconvolgere le loro vite e il loro intensissimo rapporto. Altri romanzi arriveranno nel giro di pochi mesi, per raccontarci la giovinezza, la maturità, la vecchiaia incipiente delle due amiche.
COMMENTO
Vien da chiedersi come mai questo libro abbia avuto maggior successo in America che in Italia, ma mi sembra che il motivo sia abbastanza evidente: è un libro che parla anche per stereotipi, che dipinge Napoli come il posto dove tutti urlano e sono arrabbiati e si sparano addosso e la violenza dilaga come fosse la normalità. E per carità, questo potrebbe andare bene finché ci si fermi a dipingere un rione popolare poverissimo, ma sembra che l'intero mondo del romanzo sia permeato di violenza, solo violenza, una violenza piatta ed universale che non ha sfumature, non si giustifica, non si costruisce. Voglio sperare che tutto questo sia dovuto alla voce narrante, quella di una bambina prima e di una giovanissima ragazza poi, una voce quindi ingenua e totalmente impregnata della violenza nella quale è cresciuta, che sembra non sentire il bisogno di contestualizzarla perché l'intero suo universo è limitato alle vie del rione: voglio sperare che le cose, proseguendo nella lettura della quadrilogia, cambino un po' (ed è probabile, perché già nelle ultime pagine il mondo di Elena sembra allargarsi, e col suo mondo si allarga la sua mente, si allargano le sue riflessioni, le sue percezioni).
Non posso dire di non aver apprezzato questo romanzo, perché non sarebbe vero, ma non credo nemmeno che questo libro sia il capolavoro di cui tanti parlano. E' un buon romanzo d'intrattenimento, scritto discretamente bene, che si lascia leggere in poco tempo e senza richiedere troppo impegno, ma una volta voltata l'ultima pagina, salvo un minimo di curiosità per quello che succederà nei prossimi capitoli, non mi è rimasto molto.
La Ferrante scrive bene, ha uno stile liscio e scorrevole, eppure credo che abbia voluto cercare a tutti i costi di stupire il lettore, andando a ricercare stratagemmi non necessari, superflui, per attirare l'attenzione: maggiore semplicità, una minore autocompiacenza (lo so, sto perdendo i margini della recensione di un libro, sforando nel commento personale e del tutto ingiustificato, ma del resto considero questi commenti come le mie “memorie di viaggio” di lettrice, e dunque va bene anche così) avrebbero sicuramente giovato al racconto, rendendolo più genuino e piacevole. E' una sensazione che ho avuto fin da subito, prima ancora di cominciare a leggere (e dunque dovrei forse chiamarlo pregiudizio, ma tant'è), fin da quando ho saputo dell'infinito battage mediatico attorno alla vera identità di questo autore: va benissimo voler scrivere sotto pseudonimo, non mi importa, ma davvero è necessario farne una questione simile? Davvero è necessario scrivere pagine su pagine facendo supposizioni sulla sua vera identità, chiedendosi quale possa essere il suo genere, se davvero sia cresciuta a Napoli? Sono davvero informazioni necessarie per comprendere ed apprezzare meglio le sue opere, oppure sono solo operazioncine strategiche (peraltro piuttosto squallide) per far parlare un po' di più di quelli che altrimenti resterebbero alcuni fra i tanti romanzi contemporanei buoni ma non eccezionali? Ecco, non lo so.
Credo poi che si sarebbe potuto ridurre di almeno un terzo l'intero romanzo, evitando di lasciar libero sfogo alla mente di Elena Greco (o Lenuccia, o Lenù, o come diamine vi pare), voce narrante che spesso si perde in fin troppe elucubrazioni piuttosto ripetitive. Non fraintendetemi, in alcuni momenti la sua introspezione è veramente molto profonda e toccante (è passato troppo poco tempo dai miei quindici anni perché dimentichi così facilmente cosa può passare per la testa di una ragazzina a quell'età), però a lungo andare il suo rapporto con Raffaella Cerullo, Lina, Lila, o, di nuovo, come diamine vi pare, assume pieghe morbose e in qualche modo gratuite. Quella fra le due ragazze non è una normale amicizia, ma non si tratta nemmeno di quei rapporti formati da amore e odio, affinità e competizione di cui spesso si può fare esperienza. Il loro è un rapporto morboso, insalubre, di dipendenza e conflitto al tempo stesso. E di nuovo, in certi momenti tutto ciò è veramente meraviglioso, è descritto in maniera vivida e forte, ma il più delle volte perde profondità e diventa un'altra macchietta, un altro stereotipo.
La spiegazione del titolo del romanzo è un'altro di quei trucchetti che mi hanno lasciata un po' perplessa. Per carità, l'idea che sottende questo passaggio è anche bella, però il modo in cui viene esplicitata mi ha un po' fatto cascare le braccia. E' interessante il rapporto fra due ragazze che si costruiscono e si forgiano solo nella reciprocità, come se una fosse lo specchio dell'altra, permettesse quindi all'altra di avere dei contorni definiti solo nel momento in cui si relazionano fra di loro. E' molto bello anche il modo in cui il lettore sembra essere portato ad identificare una delle due come l'amica geniale, per poi scoprire che proprio lei considera tale l'altra, ma il modo in cui tutto ciò viene spiegato, la maniera così esplicita e ammiccante con cui la Ferrante sembra dare di gomito al lettore in quel passaggio è veramente fastidiosa. Spero sinceramente che ciò non accada anche con i titoli degli altri tre volumi della serie, perché sarebbe davvero avvilente.
Il linea generale non posso dire di essere rimasta particolarmente colpita dal romanzo, i personaggi, salvo le due protagoniste, sono troppo abbozzati, restano troppo sullo sfondo (ragione per cui ho trovato decisamente ridicolo lo schema delle famiglie del rione all'inizio del libro: seriamente, saranno sì e no dieci i personaggi che davvero fanno qualcosa all'interno del romanzo, e nessuno in maniera troppo eclatante; davvero c'è bisogno di uno schema del genere?), ma di nuovo, forse tutto questo è da imputarsi al fatto che si tratta solo del primo di quattro volumi ; non che questa sia una giustificazione, in fondo: un romanzo, per quanto parte di una saga, dovrebbe avere un briciolo di autonomia, dovrebbe essere compiuto (e qui c'è un finale degno delle peggiori serie televisive: non si tratta tanto di cliffhanger, ma di aver tranciato a metà una scena), dovrebbe avere una sua autonomia, altrimenti sarebbe stato molto meglio accorparlo al secondo volume.
In ogni caso è un romanzo leggero che si è lasciato leggere con piacere, mi ha intrattenuta e un minimo incuriosita, quindi probabilmente leggerò anche il secondo volume, sperando che i difetti riscontrati diminuiscano o trovino un senso.
L'amica geniale comincia seguendo le due protagoniste bambine, e poi adolescenti, tra le quinte di un rione miserabile della periferia napoletana, tra una folla di personaggi minori accompagnati lungo il loro percorso con attenta assiduità. L'autrice scava intanto nella natura complessa dell'amicizia tra due bambine, tra due ragazzine, tra due donne, seguendo passo passo la loro crescita individuale, il modo di influenzarsi reciprocamente, i buoni e i cattivi sentimenti che nutrono nei decenni un rapporto vero, robusto. Narra poi gli effetti dei cambiamenti che investono il rione, Napoli, l'Italia, in più di un cinquantennio, trasformando le amiche e il loro legame. E tutto ciò precipita nella pagina con l'andamento delle grandi narrazioni popolari, dense e insieme veloci, profonde e lievi, rovesciando di continuo situazioni, svelando fondi segreti dei personaggi, sommando evento a evento senza tregua, ma con la profondità e la potenza di voce a cui l'autrice ci ha abituati... Non vogliamo dirvi altro per non guastare il piacere della lettura. Torniamo invece all'inizio. Dicevamo che L'amica geniale appartiene a quel genere di libro che si vorrebbe non finisse mai. E infatti non finisce. O, per dire meglio, porta compiutamente a termine in questo primo romanzo la narrazione dell'infanzia e dell'adolescenza di Lila e di Elena, ma ci lascia sulla soglia di nuovi grandi mutamenti che stanno per sconvolgere le loro vite e il loro intensissimo rapporto. Altri romanzi arriveranno nel giro di pochi mesi, per raccontarci la giovinezza, la maturità, la vecchiaia incipiente delle due amiche.
COMMENTO
Vien da chiedersi come mai questo libro abbia avuto maggior successo in America che in Italia, ma mi sembra che il motivo sia abbastanza evidente: è un libro che parla anche per stereotipi, che dipinge Napoli come il posto dove tutti urlano e sono arrabbiati e si sparano addosso e la violenza dilaga come fosse la normalità. E per carità, questo potrebbe andare bene finché ci si fermi a dipingere un rione popolare poverissimo, ma sembra che l'intero mondo del romanzo sia permeato di violenza, solo violenza, una violenza piatta ed universale che non ha sfumature, non si giustifica, non si costruisce. Voglio sperare che tutto questo sia dovuto alla voce narrante, quella di una bambina prima e di una giovanissima ragazza poi, una voce quindi ingenua e totalmente impregnata della violenza nella quale è cresciuta, che sembra non sentire il bisogno di contestualizzarla perché l'intero suo universo è limitato alle vie del rione: voglio sperare che le cose, proseguendo nella lettura della quadrilogia, cambino un po' (ed è probabile, perché già nelle ultime pagine il mondo di Elena sembra allargarsi, e col suo mondo si allarga la sua mente, si allargano le sue riflessioni, le sue percezioni).
Non posso dire di non aver apprezzato questo romanzo, perché non sarebbe vero, ma non credo nemmeno che questo libro sia il capolavoro di cui tanti parlano. E' un buon romanzo d'intrattenimento, scritto discretamente bene, che si lascia leggere in poco tempo e senza richiedere troppo impegno, ma una volta voltata l'ultima pagina, salvo un minimo di curiosità per quello che succederà nei prossimi capitoli, non mi è rimasto molto.
La Ferrante scrive bene, ha uno stile liscio e scorrevole, eppure credo che abbia voluto cercare a tutti i costi di stupire il lettore, andando a ricercare stratagemmi non necessari, superflui, per attirare l'attenzione: maggiore semplicità, una minore autocompiacenza (lo so, sto perdendo i margini della recensione di un libro, sforando nel commento personale e del tutto ingiustificato, ma del resto considero questi commenti come le mie “memorie di viaggio” di lettrice, e dunque va bene anche così) avrebbero sicuramente giovato al racconto, rendendolo più genuino e piacevole. E' una sensazione che ho avuto fin da subito, prima ancora di cominciare a leggere (e dunque dovrei forse chiamarlo pregiudizio, ma tant'è), fin da quando ho saputo dell'infinito battage mediatico attorno alla vera identità di questo autore: va benissimo voler scrivere sotto pseudonimo, non mi importa, ma davvero è necessario farne una questione simile? Davvero è necessario scrivere pagine su pagine facendo supposizioni sulla sua vera identità, chiedendosi quale possa essere il suo genere, se davvero sia cresciuta a Napoli? Sono davvero informazioni necessarie per comprendere ed apprezzare meglio le sue opere, oppure sono solo operazioncine strategiche (peraltro piuttosto squallide) per far parlare un po' di più di quelli che altrimenti resterebbero alcuni fra i tanti romanzi contemporanei buoni ma non eccezionali? Ecco, non lo so.
Credo poi che si sarebbe potuto ridurre di almeno un terzo l'intero romanzo, evitando di lasciar libero sfogo alla mente di Elena Greco (o Lenuccia, o Lenù, o come diamine vi pare), voce narrante che spesso si perde in fin troppe elucubrazioni piuttosto ripetitive. Non fraintendetemi, in alcuni momenti la sua introspezione è veramente molto profonda e toccante (è passato troppo poco tempo dai miei quindici anni perché dimentichi così facilmente cosa può passare per la testa di una ragazzina a quell'età), però a lungo andare il suo rapporto con Raffaella Cerullo, Lina, Lila, o, di nuovo, come diamine vi pare, assume pieghe morbose e in qualche modo gratuite. Quella fra le due ragazze non è una normale amicizia, ma non si tratta nemmeno di quei rapporti formati da amore e odio, affinità e competizione di cui spesso si può fare esperienza. Il loro è un rapporto morboso, insalubre, di dipendenza e conflitto al tempo stesso. E di nuovo, in certi momenti tutto ciò è veramente meraviglioso, è descritto in maniera vivida e forte, ma il più delle volte perde profondità e diventa un'altra macchietta, un altro stereotipo.
La spiegazione del titolo del romanzo è un'altro di quei trucchetti che mi hanno lasciata un po' perplessa. Per carità, l'idea che sottende questo passaggio è anche bella, però il modo in cui viene esplicitata mi ha un po' fatto cascare le braccia. E' interessante il rapporto fra due ragazze che si costruiscono e si forgiano solo nella reciprocità, come se una fosse lo specchio dell'altra, permettesse quindi all'altra di avere dei contorni definiti solo nel momento in cui si relazionano fra di loro. E' molto bello anche il modo in cui il lettore sembra essere portato ad identificare una delle due come l'amica geniale, per poi scoprire che proprio lei considera tale l'altra, ma il modo in cui tutto ciò viene spiegato, la maniera così esplicita e ammiccante con cui la Ferrante sembra dare di gomito al lettore in quel passaggio è veramente fastidiosa. Spero sinceramente che ciò non accada anche con i titoli degli altri tre volumi della serie, perché sarebbe davvero avvilente.
Il linea generale non posso dire di essere rimasta particolarmente colpita dal romanzo, i personaggi, salvo le due protagoniste, sono troppo abbozzati, restano troppo sullo sfondo (ragione per cui ho trovato decisamente ridicolo lo schema delle famiglie del rione all'inizio del libro: seriamente, saranno sì e no dieci i personaggi che davvero fanno qualcosa all'interno del romanzo, e nessuno in maniera troppo eclatante; davvero c'è bisogno di uno schema del genere?), ma di nuovo, forse tutto questo è da imputarsi al fatto che si tratta solo del primo di quattro volumi ; non che questa sia una giustificazione, in fondo: un romanzo, per quanto parte di una saga, dovrebbe avere un briciolo di autonomia, dovrebbe essere compiuto (e qui c'è un finale degno delle peggiori serie televisive: non si tratta tanto di cliffhanger, ma di aver tranciato a metà una scena), dovrebbe avere una sua autonomia, altrimenti sarebbe stato molto meglio accorparlo al secondo volume.
In ogni caso è un romanzo leggero che si è lasciato leggere con piacere, mi ha intrattenuta e un minimo incuriosita, quindi probabilmente leggerò anche il secondo volume, sperando che i difetti riscontrati diminuiscano o trovino un senso.