Premessa: un libro del genere preferisco commentarlo a carte scoperte, quindi avverto chi non sa nulla della trama o non volesse saperne nulla di sostanziale, che ci saranno spoiler!
Vergogna è un romanzo forte, spietato persino. Eppure lo stile non ne risente particolarmente, nel senso che il linguaggio non si adegua al dramma che racconta (come fa Faulkner, ad esempio, in Santuario e in quasi tutti i suoi romanzi) e proprio questo contrasto fa sembrare in certi punto la narrazione un po’ asettica. La sinossi cita il commento del “The Sunday Times” il quale parla di una “prosa di scarna, aspra bellezza”. È certamente vero, ma la sensazione che ho provato in alcuni punti della lettura è stata quella di una dissonanza fra l’entità della tragedia e l’incapacità di renderla a parole, di dare profondità a quanto vissuto dal protagonista.
Scrivendo questo sembra che il libro non mi sia piaciuto, e invece è il contrario: mi è piaciuto molto! E mi è piaciuto anche perchè la gravità del tema non è emersa immediatamente; per quasi metà libro, si potrebbe credere che il “fatto” principale sia la condotta e la condanna di David Lurie, professore universitario, accusato di aver molestato una sua studentessa di trent’anni più giovane di lui. E, diciamoci la verità, per quanto lui si ostini a ritenersi non dico innocente, ma vittima a sua volta del “fuoco della passione”, la verità è che nei confronti di Melanie vi è indubbiamente una violenza psicologica, in quanto almeno a noi lettori appare chiaro che la ragazza con lui non ci vuole stare: non lo cerca, lo sfugge debolmente, troppo debolmente forse... di sicuro se una passione c’è, non è quella di lei per lui.
Insomma, quest'uomo lussurioso non mi ha destato alcuna simpatia, nemmeno quando cerca di opporsi al bigottismo ipocrita da cui si ritrova improvvisamente circondato, a quel “politically correct” che mi piace ancora meno... Ma, a prescindere da torti o ragioni, il punto è che questa storia costituisce solo l’antefatto, anche se resterà uno dei due poli intorno a cui ruota la vicenda (anzi, diventano tre se contiamo la passione fra Byron e la contessa Guicciardi, ovvero il sogno di David di farne un’opera musicale).
E il secondo “fatto” è molto più grave e cruento: dopo essersi rifugiato per qualche tempo presso la fattoria della figlia quasi trentenne – omosessuale, indipendente, che vive sola e senza alcuna protezione circondata da gente di colore – i due subiscono una violenta aggressione, dalle conseguenze devastanti: a parte il furto di qualsiasi cosa e i danni all’abitazione, lui viene ferito e la figlia stuprata. E quel che è peggio, Lucy non vuole saperne di denunciare gli aggressori, o almeno di denunciare ciò che è accaduto a lei. Suo padre, come è ovvio che sia, non si capacita: da una parte cerca di convincerla, di farla ragionare, dall’altra (e qui entra in gioco lo stile di cui parlavo prima) secondo me reagisce anche troppo debolmente... non so, in certi punti mi veniva da dirgli “Svegliati! Come fai a restare così freddo, così relativamente tranquillo?”
Insomma, a partire da questo secondo fatto e dalle sue conseguenze, tutto il romanzo acquista un altro spessore: la “disgrazia/vergogna” non è più solo quella di David Lurie, che ha perso il lavoro e la dignità sociale, ma è anche quella di Lucy, quella dei “bianchi” del post apartheid – che devono pagare il “prezzo” di tanta sofferenza inflitta – e quindi, alla fine, degli stessi “neri” che quelle sofferenze le hanno patite.
Il titolo originario di questo romanzo è Disgrace: in inglese significa “vergogna” (con cui si è scelto di tradurlo), ma anche “disgrazia” e “disonore”. Qualsiasi potesse essere la traduzione scelta, io credo che questo nome e questo romanzo racchiudano tutti questi significati: la disgrazia, il disonore, la vergogna, la colpa, l’espiazione. E l’inadeguatezza del protagonista di fronte a tutto questo.
Nonostante la giovane età, Lucy è più matura di suo padre: per quanto incosciente nella sua ostinazione, sembra vedere le cose con più lucidità e profondità di quanto non faccia lui e, sebbene sia difficile accettare il suo atteggiamento apparentemente remissivo e rassegnato, in realtà si pone nei confronti della realtà che lo circonda in modo più consapevole.
Si tratta insomma di un libro complesso e per nulla scontato, che anzi presuppone e suggerisce molto più di ciò che effettivamente racconta, e per questo motivo merita di essere letto.