Ammetto tutta la mia ignoranza confessando che quando ho scelto questo libro (gli audiolibri della biblioteca che ancora mi mancano non sono più moltissimi) ho pensato che nella peggiore delle ipotesi avrei ascoltato la testimonianza forte di una giovane musulmana in una realtà difficile. Non avevo alcuna idea che a raccontare la propria storia fosse non una semplice ragazza oppressa dalla famiglia, dal fondamentalismo, o da quello che mi immaginavo potesse essere, ma la vincitrice del premio Nobel per la pace 2014 (fra l’altro la più giovane a cui sia mai stato assegnato).
Non che sia il premio a fare la persona. Come dice lei stessa, era orgogliosa dei suoi premi a scuola perché se li era conquistati con le proprie forze, l’impegno, l’inesauribile sete di sapere che l’ha sempre caratterizzata, mentre i sempre più numerosi riconoscimenti che da un certo momento in poi le sono stati attribuiti in quanto attivista a sostegno dei diritti delle donne, e in special modo di quello all’istruzione, le facevano sì piacere, ma come qualcosa che nasceva dagli altri, non da lei stessa.
Comunque su una cosa non mi ero sbagliata, ed è che leggendo libri come questi, a prescindere dal loro valore “artistico”, si ha la preziosa occasione di immergersi nella realtà del paese che ci viene raccontato, in questo caso il Pakistan, di apprenderne la storia, le vicissitudini, a comprenderne almeno in parte le dinamiche politiche e religiose (che nei paesi islamici è dire lo stesso), come non sarei mai riuscita a fare attraverso le pagine di un saggio o di un articolo di giornale (ci provo pure: memorizzo, ma poi inevitabilmente dimentico…). Quello che invece non mi aspettavo era, in aggiunta a tutto ciò, essere testimone della vita di una ragazza coraggiosa, che non è stata vittima degli eventi “suo malgrado” (cosa terribile, per carità) ma che ha deliberatamente accettato il rischio di ciò che in effetti poi le è accaduto (un attentato che l’ha lasciata in bilico tra la vita e la morte per diverse settimane), sfidando tutto e tutti per portare avanti le proprie idee. Ciò che mi ha colpito è che, prima dell’attentato, Malala Yousafzai fosse già molto “famosa” e che, se secondo la mentalità occidentale questo vuol dire essere una celebrità, il cui unico rischio semmai è quello di montarsi la testa, nel suo paese questo sfidare apertamente non solo la “purdah” ma anche le aberranti distorsioni della fede islamica praticate dai telebani, significa sfidare la morte, come purtroppo è stato.
In nome di cosa? La risposta più evidente (e vera) è in nome del diritto all’istruzione delle donne musulmane, diritto messo seriamente in pericolo dal telebani e la cui affermazione per Malala è diventata una vocazione, lo scopo della propria vita. Ma ancor più vero è che ciò per cui si è battuta e ancora oggi si batte Malala è la negazione che il mancato riconoscimento di questo diritto abbia il proprio fondamento nel Corano. Il merito enorme di questo libro è stato non solo avermi aperto gli occhi su un pezzo di Storia di cui sapevo poco (nonostante ci riguardi molto da vicino e non possa assolutamente dirsi “concluso”) ma anche quello di aver portato alla luce una parte del vero Islam, quello che rispetta le donne, anche se lo fa in modo diverso dai canoni occidentali, quello che è aperto alla conoscenza, all’impegno civile e sociale, quello che punta al futuro. Insomma, quello a cui purtroppo, per colpa del fondamentalismo, abbiamo smesso di credere e su cui invece dovremmo tornare a puntare nel futuro, proprio in nome di quei diritti dell’uomo e della donna che oggi in tante parti del mondo non sono ancora riconosciuti.
Assolutamente consigliato.