Darkay
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Stefano Benni scrisse "Blues in sedici" dieci anni fa, prendendo spunto da un fatto di cronaca degli anni Ottanta. Questa ballata blues era stata pensata per essere letta in pubblico e infatti la sua prima pubblicazione ha conosciuto molte versioni teatrali. Ora il testo viene riproposto con alcune variazioni che la lettura e, soprattutto l'accompagnamento musicale di Paolo Damiani, hanno suggerito. Protagonisti di questa drammatica storia sono l'Indovino cieco, il Padre, la Madre, il Figlio, Lisa, la Città, il Killer, il Teschio. Otto voci che tornano in scena due volte, a cantare ciascuna il dolore, la rabbia, la disperazione, la speranza.
Benni torna alla poesia per affidare al ritmo del verso (a una sua tonalità drammatica di ballata blues) la percezione della fatiscenza sociale e morale, il brulicare di una rabbia senza nome, la volontà di vedere, quando tutto sembra sin troppo visibile, di cosa è fatto finalmente il mondo. Non è un caso che una delle voci-guida sia un Indovino cieco, a cui sono ben note la malattia della speranza e la sfida dei sogni. Vedere è patire, perchè vedere veramente registra puntualmente la vita che manca, il passato che manca, il futuro che manca - come accade al Padre e alla Madre -, perchè vedere veramente, come in modi diversi fanno il Figlio e Lisa, desta, come un'urgenza irrimandabile, la spoglia autenticità dell'amore ("Ascolta sto cantando / tra le note c'è il tuo nome"). Con una lucidità maligna, beffarda il Teschio ("Mi piace farla franca / fino alla prossima moda") e il Killer ("non chiedere cosa vendo / un giorno lo comprerai") recitano la mesta virtù del disincanto. Si leva, in questo abisso contemplato con pietà e orrore, la voce della città, una voce singolarmente partecipe dei destini di chi la abita, una voce che invita a "non avere paura nella speranza".
e metto anche la copertina xchè è bellissima!
Benni torna alla poesia per affidare al ritmo del verso (a una sua tonalità drammatica di ballata blues) la percezione della fatiscenza sociale e morale, il brulicare di una rabbia senza nome, la volontà di vedere, quando tutto sembra sin troppo visibile, di cosa è fatto finalmente il mondo. Non è un caso che una delle voci-guida sia un Indovino cieco, a cui sono ben note la malattia della speranza e la sfida dei sogni. Vedere è patire, perchè vedere veramente registra puntualmente la vita che manca, il passato che manca, il futuro che manca - come accade al Padre e alla Madre -, perchè vedere veramente, come in modi diversi fanno il Figlio e Lisa, desta, come un'urgenza irrimandabile, la spoglia autenticità dell'amore ("Ascolta sto cantando / tra le note c'è il tuo nome"). Con una lucidità maligna, beffarda il Teschio ("Mi piace farla franca / fino alla prossima moda") e il Killer ("non chiedere cosa vendo / un giorno lo comprerai") recitano la mesta virtù del disincanto. Si leva, in questo abisso contemplato con pietà e orrore, la voce della città, una voce singolarmente partecipe dei destini di chi la abita, una voce che invita a "non avere paura nella speranza".
e metto anche la copertina xchè è bellissima!
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