bouvard
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Due uomini, il rozzo Czentovic e l’enigmatico dottor B. giocano una partita a scacchi. Ma a fronteggiarsi non sono solo i due uomini, ma anche i due opposti mondi che essi rappresentano. Il dottor B. rappresenta, infatti, quell’Europa colta e raffinata che sembra destinata a soccombere sotto l’avanzata del “nuovo” – il nazismo – di cui Czentovic con la sua ignoranza, rozzezza, è la personificazione.
Ma il dottor B. non gioca semplicemente una partita contro Czentovic - il campione mondiali di scacchi, l’uomo che a mala pena sa leggere, che non sa giocare una partita “alla cieca”, ma che ben comprende il valore dei soldi, tanto da arrivare a “vendere” per soldi il suo aspetto o ogni suo momento libero (beh questo per noi ormai non è affatto una cosa sorprendente o scandalosa, ma all’epoca di Zweig lo era, e soprattutto era di cattivo gusto) - egli gioca una battaglia anche contro se stesso, contro i ricordi di quell’esperienza che lo ha portato quasi alla follia e da cui era stato salvato proprio dagli scacchi.
“Voler giocare contro se stesso, costituisce negli scacchi un paradosso, come voler saltare la propria ombra”, effettivamente le pagine in cui Zweig descrive i tentativi del prigioniero dottor B. di giocare una partita a scacchi contro se stesso per non impazzire mettono i brividi, perché non si riesce a non pensare a tutta l’atrocità del nazismo che vi è dietro.
Ma il dottor B. non gioca semplicemente una partita contro Czentovic - il campione mondiali di scacchi, l’uomo che a mala pena sa leggere, che non sa giocare una partita “alla cieca”, ma che ben comprende il valore dei soldi, tanto da arrivare a “vendere” per soldi il suo aspetto o ogni suo momento libero (beh questo per noi ormai non è affatto una cosa sorprendente o scandalosa, ma all’epoca di Zweig lo era, e soprattutto era di cattivo gusto) - egli gioca una battaglia anche contro se stesso, contro i ricordi di quell’esperienza che lo ha portato quasi alla follia e da cui era stato salvato proprio dagli scacchi.
“Voler giocare contro se stesso, costituisce negli scacchi un paradosso, come voler saltare la propria ombra”, effettivamente le pagine in cui Zweig descrive i tentativi del prigioniero dottor B. di giocare una partita a scacchi contro se stesso per non impazzire mettono i brividi, perché non si riesce a non pensare a tutta l’atrocità del nazismo che vi è dietro.