bouvard
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Trama: Negli anni ’30 l’ingenua Sally Mara, la protagonista del libro, una ragazza cattolica irlandese di 18 anni, vive tranquillamente con la sua strampalata famiglia: la madre, non proprio un genio, in paziente attesa del marito, allontanatosi da casa anni prima, per andare a comprare dei fiammiferi; il fratello, che in testa ha solo due pensieri: l’alcool ed il sesso; la sorella che aspira a diventare una Signorina delle Poste, perciò passa le giornate ad imparare a memoria i nomi delle isole dell’arcipelago filippino, dei cantoni svizzeri ecc. ecc. Sally vorrebbe scrivere un libro in gaelico, non sa ancora su cosa, ma ha già deciso il titolo: “Le donne sono sempre troppo buone con gli uomini” e soprattutto vorrebbe, finalmente, capire come funziona quella cosa strana che è il sesso …
Il diario intimo di Sally Mara è un libro scritto manipolando il linguaggio, fino alle estreme conseguenze, fino a creare dei doppi sensi, degli equivoci, delle situazioni limite, tanto che l’unica risposta possibile del lettore a questa lettura è la risata, il divertimento. Leggere questo libro è come ritrovarsi in una “commedia degli equivoci”, in un mondo al rovescio, dove i personaggi e le situazioni sono talmente sopra le righe, talmente estremizzati da diventare surreali. Il lettore non riesce a credere a ciò che sta leggendo e si chiede se l’Autore non si stia facendo beffe di lui. Possibile che a scrivere quello che sta leggendo sia stato davvero un Autore serio e famoso? Possibile che Queneau ha realmente scritto e voluto dire quello che lui sta leggendo? Queste sono le domande che frullano nella testa del lettore mentre legge. Il libro ha, però, un andamento altalenante, dopo un inizio, forse, un po’ lento, diventa scoppiettante, paradossale ed esilarante, salvo poi, questa critica purtroppo devo fargliela a Queneau, perdersi sul finale, in cui, secondo me, concede troppo, rovinando le ultime cinque pagine, dove invece sarebbe stato bene un ultimo inaspettato colpo di coda.
Qualcuno potrebbe pensare che il libro sia sconcio, libertino, sboccato, provocatorio. Probabilmente ha ragione, perché il libro è anche questo, ma non è questa la sua “finalità”, quanto piuttosto dimostrare che l’equivoco/la sconcezza non è nelle parole in sé, ma si origina dalla combinazione che noi diamo a quelle parole. Non a caso le parole davvero sconce del libro non sono le parolacce (ebbene sì, ci sono anche queste, ma niente che non si senta anche in conversazioni quotidiane), ma alcune parole normalissime che di per sé non contengono alcuna sconcezza, né alcuna equivocità, ma è il modo in cui vengono combinate, legate, disposte tra loro a creare l’allusione e quindi a generare la sconcezza e la licenziosità.
Il diario intimo di Sally Mara è un libro scritto manipolando il linguaggio, fino alle estreme conseguenze, fino a creare dei doppi sensi, degli equivoci, delle situazioni limite, tanto che l’unica risposta possibile del lettore a questa lettura è la risata, il divertimento. Leggere questo libro è come ritrovarsi in una “commedia degli equivoci”, in un mondo al rovescio, dove i personaggi e le situazioni sono talmente sopra le righe, talmente estremizzati da diventare surreali. Il lettore non riesce a credere a ciò che sta leggendo e si chiede se l’Autore non si stia facendo beffe di lui. Possibile che a scrivere quello che sta leggendo sia stato davvero un Autore serio e famoso? Possibile che Queneau ha realmente scritto e voluto dire quello che lui sta leggendo? Queste sono le domande che frullano nella testa del lettore mentre legge. Il libro ha, però, un andamento altalenante, dopo un inizio, forse, un po’ lento, diventa scoppiettante, paradossale ed esilarante, salvo poi, questa critica purtroppo devo fargliela a Queneau, perdersi sul finale, in cui, secondo me, concede troppo, rovinando le ultime cinque pagine, dove invece sarebbe stato bene un ultimo inaspettato colpo di coda.
Qualcuno potrebbe pensare che il libro sia sconcio, libertino, sboccato, provocatorio. Probabilmente ha ragione, perché il libro è anche questo, ma non è questa la sua “finalità”, quanto piuttosto dimostrare che l’equivoco/la sconcezza non è nelle parole in sé, ma si origina dalla combinazione che noi diamo a quelle parole. Non a caso le parole davvero sconce del libro non sono le parolacce (ebbene sì, ci sono anche queste, ma niente che non si senta anche in conversazioni quotidiane), ma alcune parole normalissime che di per sé non contengono alcuna sconcezza, né alcuna equivocità, ma è il modo in cui vengono combinate, legate, disposte tra loro a creare l’allusione e quindi a generare la sconcezza e la licenziosità.