"Si troverebbe tutto meraviglioso se si fosse capaci di sentire tutto, perché non può essere che una cosa sia meravigliosa e l’altra no."
Non smetterò mai di stupirmi della capacità di questo autore di essere incredibilmente “diverso” e, a suo modo, rivoluzionario (ricordo che le sue opere maggiori datano il primo decennio del secolo scorso) all'interno di una forma del tutto tradizionale. La sua prosa è semplice, fresca, lineare. Nessuna sperimentazione linguistica caratterizza lo stile di Walser: I fratelli Tanner sembra il tema svolto da un giovane alunno che voglia fare bella figura davanti alla maestra. Eppure si capisce subito che la “rottura” rispetto al passato è netta, irreversibile. Ce lo dicono l'ironia sottile e giocosa (che, come nel Jakob von Gunten, fa sorgere il sospetto che l'autore ci stia prendendo un po’ in giro), l'atmosfera sospesa, quel senso di “inconsistenza” che fa assomigliare le sue opere alla trascrizione di un sogno...
Ecco cosa l'autore ha affermato di se stesso alla fine della sua vita: “Se potessi tornare indietro a quando avevo trent'anni, non scriverei più nel vuoto come un farfallone romantico, che nella sua stravaganza se ne infischia di tutto. Non si può negare la società: bisogna viverci, e lottare per essa e contro di essa. È questo il difetto dei miei romanzi. Sono troppo lunatici, troppo riflessivi, e quanto alla composizione spesso troppo trasandati”.
Credo non ci siano parole più appropriate per commentare questo libro, così come gli altri scritti da lui. Con l'unica fondamentale differenza che ciò che Walser si attribuisce come difetto è invece ciò che rende i suoi romanzi unici, fuori da qualsiasi schema.
Simon Tanner, protagonista indiscusso di questo libro, è una figura davvero singolare. È un fannullone, in quanto – come afferma lui stesso – “sentivo che il giorno era troppo bello perché potessi avere l’indolenza di profanarlo col lavoro...”. In questa candida affermazione è racchiusa la chiave della sua filosofia: Simon non è un ozioso, ma un giovane che ama la vita in modo limpido, entusiastico, infantile (“o fratello eternamente gaio!” lo chiama sua sorella Hedwig) e amandola, contemplandola, lasciandola scorrere dentro di sé senza la pretesa di trattenerla, egli è capace di viverla pienamente, in ogni suo singolo istante. Anche il dovere è qualcosa che può compiere solo identificandosi pienamente in esso, e infatti – nei brevi periodi in cui è occupato in qualche professione - egli vi si immerge completamente, senza riserve (“amo qualsiasi lavoro tranne quelli che per essere praticati non richiedono l’impiego di tutte le energie disponibili”.)
Come i bambini, ha mantenuta intatta la capacità di stupirsi e di gioire di qualsiasi cosa, persino della sventura, e la sua unica preoccupazione è non sprecare l’occasione del proprio presente (“io non voglio un avvenire, voglio avere un presente. Mi sembra più prezioso. Si ha un avvenire soltanto quando si ha un presente, e quando si ha un presente si dimentica anche solo di pensare a un avvenire.”). Non si scandalizza di nulla e non disprezza nessuno; allo stesso modo non si cura di scandalizzare o di essere disprezzato.
Sono talmente sinceri e contagiosi il suo entusiasmo, la sua innocenza, il suo ottimismo, da far sorgere il dubbio (per chi non avesse letto il libro) di un personaggio troppo perfetto per risultare credibile, o di un intento moralista da parte dell'autore. Al contrario, esaltando ciò che normalmente è reputato un disonore (il “vivere alla giornata”, ad esempio, ma anche l'annichilimento nel servizio, tema che verrà ripreso nel Jakob von Gunten con sfumature più cupe e ambigue) e deridendo ciò che i benpensanti considerano fondamentale e irrinunciabile (una buona reputazione, una posizione solida, il dovere di costruirsi un “avvenire”), Simon Tanner è una figura di rottura, capace di metterci in discussione.
L’eccezionalità del suo carattere e la profondità delle sue riflessioni sono molto maggiori di quello che la leggerezza del romanzo farebbe credere. D’altra parte, il tono lievemente canzonatorio insito nello stile di Walser ci spinge a non prendere nulla troppo sul serio, neppure queste stesse riflessioni che pure nascondono profonde (e a volte scomode) verità.
Non smetterò mai di stupirmi della capacità di questo autore di essere incredibilmente “diverso” e, a suo modo, rivoluzionario (ricordo che le sue opere maggiori datano il primo decennio del secolo scorso) all'interno di una forma del tutto tradizionale. La sua prosa è semplice, fresca, lineare. Nessuna sperimentazione linguistica caratterizza lo stile di Walser: I fratelli Tanner sembra il tema svolto da un giovane alunno che voglia fare bella figura davanti alla maestra. Eppure si capisce subito che la “rottura” rispetto al passato è netta, irreversibile. Ce lo dicono l'ironia sottile e giocosa (che, come nel Jakob von Gunten, fa sorgere il sospetto che l'autore ci stia prendendo un po’ in giro), l'atmosfera sospesa, quel senso di “inconsistenza” che fa assomigliare le sue opere alla trascrizione di un sogno...
Ecco cosa l'autore ha affermato di se stesso alla fine della sua vita: “Se potessi tornare indietro a quando avevo trent'anni, non scriverei più nel vuoto come un farfallone romantico, che nella sua stravaganza se ne infischia di tutto. Non si può negare la società: bisogna viverci, e lottare per essa e contro di essa. È questo il difetto dei miei romanzi. Sono troppo lunatici, troppo riflessivi, e quanto alla composizione spesso troppo trasandati”.
Credo non ci siano parole più appropriate per commentare questo libro, così come gli altri scritti da lui. Con l'unica fondamentale differenza che ciò che Walser si attribuisce come difetto è invece ciò che rende i suoi romanzi unici, fuori da qualsiasi schema.
Simon Tanner, protagonista indiscusso di questo libro, è una figura davvero singolare. È un fannullone, in quanto – come afferma lui stesso – “sentivo che il giorno era troppo bello perché potessi avere l’indolenza di profanarlo col lavoro...”. In questa candida affermazione è racchiusa la chiave della sua filosofia: Simon non è un ozioso, ma un giovane che ama la vita in modo limpido, entusiastico, infantile (“o fratello eternamente gaio!” lo chiama sua sorella Hedwig) e amandola, contemplandola, lasciandola scorrere dentro di sé senza la pretesa di trattenerla, egli è capace di viverla pienamente, in ogni suo singolo istante. Anche il dovere è qualcosa che può compiere solo identificandosi pienamente in esso, e infatti – nei brevi periodi in cui è occupato in qualche professione - egli vi si immerge completamente, senza riserve (“amo qualsiasi lavoro tranne quelli che per essere praticati non richiedono l’impiego di tutte le energie disponibili”.)
Come i bambini, ha mantenuta intatta la capacità di stupirsi e di gioire di qualsiasi cosa, persino della sventura, e la sua unica preoccupazione è non sprecare l’occasione del proprio presente (“io non voglio un avvenire, voglio avere un presente. Mi sembra più prezioso. Si ha un avvenire soltanto quando si ha un presente, e quando si ha un presente si dimentica anche solo di pensare a un avvenire.”). Non si scandalizza di nulla e non disprezza nessuno; allo stesso modo non si cura di scandalizzare o di essere disprezzato.
Sono talmente sinceri e contagiosi il suo entusiasmo, la sua innocenza, il suo ottimismo, da far sorgere il dubbio (per chi non avesse letto il libro) di un personaggio troppo perfetto per risultare credibile, o di un intento moralista da parte dell'autore. Al contrario, esaltando ciò che normalmente è reputato un disonore (il “vivere alla giornata”, ad esempio, ma anche l'annichilimento nel servizio, tema che verrà ripreso nel Jakob von Gunten con sfumature più cupe e ambigue) e deridendo ciò che i benpensanti considerano fondamentale e irrinunciabile (una buona reputazione, una posizione solida, il dovere di costruirsi un “avvenire”), Simon Tanner è una figura di rottura, capace di metterci in discussione.
L’eccezionalità del suo carattere e la profondità delle sue riflessioni sono molto maggiori di quello che la leggerezza del romanzo farebbe credere. D’altra parte, il tono lievemente canzonatorio insito nello stile di Walser ci spinge a non prendere nulla troppo sul serio, neppure queste stesse riflessioni che pure nascondono profonde (e a volte scomode) verità.