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Amelia Member
Eretico, blasfemo. Termini forti, ma come altro definire Michele Dalai, giornalista e scrittore, autore di questo veloce libretto dall'inequivocabile titolo "Contro il Tiqui Taca. Come ho imparato a detestare il Barcellona" (Libellule Mondadori, 10 euro, disponibile anche in e-book)? Antipatizzare per una delle squadre di calcio più amate al mondo, si può? Eccome, è la tesi di Dalai. Perché bello non significa affatto che debba piacere a tutti. Con uno stile ironico e brillante, una scrittura vulcanica e divertente, l'autore ci spiega bene perché la squadra catalana non merita l'altissima considerazione di cui gode. Il primo indizio lo ricaviamo dalla dedica, "a ogni contropiedista": il gioco del Barcellona, che in queste pagine mai viene chiamato con l'affettuoso nomignolo "Barca", è fondato sul possesso palla, sui passaggi corti, su un gioco lento che è stato appunto ribattezzato "tiqui taca". Noioso, a sentir Dalai, è poco: "per chi è cresciuto rincorrendo palloni lunghi il tiqui taca è l'andropausa del calcio, la morte del desiderio". Ce n'è per tutti: per il centrocampista Sergio Busquets, artista della simulazione, "la cui utilità nel gioco è misteriosa"; per il quattro volte pallone d'oro Lionel Messi, "talento naturale senza alcuna personalità", eroe mai disposto a dividere la scena e la gloria con altri; per l'allenatore Pep Guardiola, colpevole di essere il regista dello "sfacelo calcistico che risponde al nome di Barcellona". Cosa si salva? La storia blaugrana, le sue origini, il suo passato ricco di gloria, il Camp Neu. E la solidarietà e l'appoggio che la squadra di oggi ha saputo dare ai compagni più sfortunati: il difensore Éric Abidal e il tecnico Tito Vilanova, entrambi colpiti da gravi malattie, che hanno potuto contare sull'affetto di tutta la società e dei tifosi. E insomma qualcosa di buono sembra esserci, anche in questa squadra che per Dalai è fatta in laboratorio e "incarna lo spirito Ikea del calcio". L'assioma è semplice: chi ama il Barcellona non ama il calcio; chi invece ama davvero il calcio non può non detestare il Barcellona. Del resto essere odiate per motivi più o meno evidenti sembra risiedere nel dna delle squadre vincenti. Ciò che conta è non perdere mai di vista che "quando si tratta di calcio, la diagnosi è sempre grave ma non seria".