Shoofly
Señora Memebr
Per quale motivo, ci si potrebbe chiedere, un omicidio deve essere considerato un’arte, e perché il lettore viene invitato a considerarne il lato estetico?
L’omicidio, inteso come atto di uccidere in sé, interessa all’autore in quanto si presta ad un’analisi “estetica”, cioè - spiega De Quincey – “in relazione al buon gusto” al di là del senso morale dell’uomo virtuoso. L’assassinio è visto come fonte di diletto, di elevazione spirituale, di espressione artistica.
L’interesse verso un tema tanto violento e terrificante - che appare in conflitto con la personalità di un uomo colto, dalle letture raffinate, amante della filosofia - sembra quasi “esorcizzato” dal tono ironico e semiserio col quale questi indaga sull’argomento.
La prima parte del saggio, o Prima relazione, fu pubblicata nel 1827 sulla rivista Blackwood Magazine, la Seconda relazione venne aggiunta nel 1839 e la terza (Poscritto) apparve nel 1854, quando De Quincey pubblicò la collected edition delle sue opere.
Nelle prime due parti l’autore dà lettura delle relazioni di una conferenza e di un pranzo organizzati da una fantomatica Società degli intenditori di assassini.
Le relazioni offrono una vera e propria storia dell’assassinio, dall’etimologia del nome alla cronaca di omicidi famosi, di re e filosofi, ai delitti eccellenti dei secoli passati, per giungere ai tempi più recenti.
Durante l’esposizione, tuttavia, De Quincey tiene a proclamarsi “uomo morbosamente virtuoso” che non ha mai compiuto, né tantomeno incoraggiato, un omicidio, prendendo in tal modo le distanze da un argomento d’interesse così pericoloso.
Attraverso la storia dei delitti trattati l’autore ironizza sul concetto di perfezione e di bello: il principio fondamentale è quello di soddisfare il buon gusto.
L’assassinio è vista come forma d’arte e l’omicida è un artista che deve attenersi ad alcune regole fondamentali: la vittima deve essere una persona giovane, onesta, possibilmente con famiglia, non deve essere un personaggio pubblico e deve godere di buona salute.
Se l’omicida si atterrà a questi principi, l’effetto delle sue azioni sarà quello di “purificare i cuori con la pietà e il terrore”- lo stesso scopo della tragedia secondo le regole aristoteliche - e le sue imprese diventeranno opera d’arte.
Le numerose citazioni colte, le frasi in latino e le parole in greco, nonché i passi di poeti famosi come Shelley, supportano il tono semiserio del saggio come se si trattasse di un vero e proprio trattato di filosofia sull’omicidio.
Il valore estetico dell’omicidio, il delitto fine a se stesso, è poi ripreso nel Poscritto che contiene una particolareggiata descrizione di alcuni casi famosi di omicidio, occorsi a Londra.
In quest’ultima parte si nota un cambiamento di tono, che da ironico si fa più profondo, attento alle implicazioni di matrice psicologica coinvolte nell’atto di uccidere.
La cronaca degli efferati delitti di Williams e dei M’Kean, che avevano indotto gli affiliati dell’associazione ad organizzare il simposio dal quale origina la Seconda relazione, viene riportata non più con ironia ma con un senso di orrore e di compassione per le vittime.
Di grande effetto anche l’immagine che chiude il saggio: Williams – imprigionato e morto suicida in carcere – viene sepolto con un piolo conficcato nel cuore, al centro di un quadrivio, un incrocio per il quale transitano gli abitanti della città ritornata frettolosa e incurante, quella stessa città che solo poco tempo prima era stata “paralizzata” dalla paura dal mostro.
L’omicidio, inteso come atto di uccidere in sé, interessa all’autore in quanto si presta ad un’analisi “estetica”, cioè - spiega De Quincey – “in relazione al buon gusto” al di là del senso morale dell’uomo virtuoso. L’assassinio è visto come fonte di diletto, di elevazione spirituale, di espressione artistica.
L’interesse verso un tema tanto violento e terrificante - che appare in conflitto con la personalità di un uomo colto, dalle letture raffinate, amante della filosofia - sembra quasi “esorcizzato” dal tono ironico e semiserio col quale questi indaga sull’argomento.
La prima parte del saggio, o Prima relazione, fu pubblicata nel 1827 sulla rivista Blackwood Magazine, la Seconda relazione venne aggiunta nel 1839 e la terza (Poscritto) apparve nel 1854, quando De Quincey pubblicò la collected edition delle sue opere.
Nelle prime due parti l’autore dà lettura delle relazioni di una conferenza e di un pranzo organizzati da una fantomatica Società degli intenditori di assassini.
Le relazioni offrono una vera e propria storia dell’assassinio, dall’etimologia del nome alla cronaca di omicidi famosi, di re e filosofi, ai delitti eccellenti dei secoli passati, per giungere ai tempi più recenti.
Durante l’esposizione, tuttavia, De Quincey tiene a proclamarsi “uomo morbosamente virtuoso” che non ha mai compiuto, né tantomeno incoraggiato, un omicidio, prendendo in tal modo le distanze da un argomento d’interesse così pericoloso.
Attraverso la storia dei delitti trattati l’autore ironizza sul concetto di perfezione e di bello: il principio fondamentale è quello di soddisfare il buon gusto.
L’assassinio è vista come forma d’arte e l’omicida è un artista che deve attenersi ad alcune regole fondamentali: la vittima deve essere una persona giovane, onesta, possibilmente con famiglia, non deve essere un personaggio pubblico e deve godere di buona salute.
Se l’omicida si atterrà a questi principi, l’effetto delle sue azioni sarà quello di “purificare i cuori con la pietà e il terrore”- lo stesso scopo della tragedia secondo le regole aristoteliche - e le sue imprese diventeranno opera d’arte.
Le numerose citazioni colte, le frasi in latino e le parole in greco, nonché i passi di poeti famosi come Shelley, supportano il tono semiserio del saggio come se si trattasse di un vero e proprio trattato di filosofia sull’omicidio.
Il valore estetico dell’omicidio, il delitto fine a se stesso, è poi ripreso nel Poscritto che contiene una particolareggiata descrizione di alcuni casi famosi di omicidio, occorsi a Londra.
In quest’ultima parte si nota un cambiamento di tono, che da ironico si fa più profondo, attento alle implicazioni di matrice psicologica coinvolte nell’atto di uccidere.
La cronaca degli efferati delitti di Williams e dei M’Kean, che avevano indotto gli affiliati dell’associazione ad organizzare il simposio dal quale origina la Seconda relazione, viene riportata non più con ironia ma con un senso di orrore e di compassione per le vittime.
Di grande effetto anche l’immagine che chiude il saggio: Williams – imprigionato e morto suicida in carcere – viene sepolto con un piolo conficcato nel cuore, al centro di un quadrivio, un incrocio per il quale transitano gli abitanti della città ritornata frettolosa e incurante, quella stessa città che solo poco tempo prima era stata “paralizzata” dalla paura dal mostro.