Follett, nonostante tutto, è sempre Follett.
Follett, nonostante tutto, è sempre Follett.
Con quel “nonostante tutto” si potrebbe riempire una e più recensioni di discreta lunghezza: non è questo, di certo, il capolavoro di Follett, e i difetti abbondano, come non nascondono le altre recensioni.
C’è da dire che però, se non si tratta de “Il” capolavoro, di sicuro nel suo piccolo è “un” piccolo capolavoro del suo genere, ambizioso, ma mai presuntuoso, ben scritto, ma mai retorico, complesso, mai elitario.
Di sicuro “La Caduta dei Giganti” non è ai livelli de “I Pilastri della Terra” per il livello di empatia, suspance, e fascino che crea nel lettore, per il semplice fatto che i personaggi e le ambientazioni sono meno emblematici e caratteristici, forse perché I Pilastri è già un classico, e La Caduta dovrà faticare molto per poterlo diventare, cosa che non è esclusa, considerando i due volumi ancora da pubblicare che completano la Century Trilogy.
La “Storia” direi che c’è! Eh beh, se c’è! Storia allo stato puro, forse uno dei capitoli più intrigati e suggestivi dall’alba dei tempi (anche se ammetto una personale tendenza alla storia medievale, a cui subito segue quella novecentesca).
Scrivere un romanzo ambientato nei primi decenni del Novecento non è affatto facile, e Follett, a suo modo, applicando personali scelte, lo ha fatto e c’è riuscito.
E c’è riuscito utilizzando una formula vincente, a mia veduta.
La Caduta Dei Giganti non si impone mai, assolutamente, come un saggio storico, non vuole scrivere la storia, narrando fatti, come farebbe appunto un libro di storia... ciò che fa Follett è far muovere dei personaggi, fittizi e reali, all’interno della storia, motivo per cui la storia non è descritta, è vissuta, non è spiegata, è ragionata.
Follett si approccia dunque alla storia non come uno storico, sebbene la presenza e talvolta l’abbondanza di argomentazioni storico-politiche, ma come un romanziere, cosa di cui si sarebbe peccato uno scrittore inesperto.
E in più guarda alla storia con curiosità, andando alla ricerca degli aneddoti, delle vicende più strane e meno note: come dimenticare l’episodio della partita di calcio nella Terra di Nessuno tra Inglesi e Tedeschi? Come non sorridere all’aneddoto dei mille e più taxi adibiti al trasporto dei soldati al fronte francese? Come non commuoversi di fronte alla folla attorno ai binari, al passaggio del treno di Wilson?
Queste piccole chicche, quelle che aldilà della storia studiata a scuola stupisce e fanno vedere la vicenda con occhi nuovi, senza annoiarsi, sono ciò che di più bello ha da offrire questo libro.
Ma non solo.
Tornando alla figura di Follett quale storico e polito, perché scrivere un libro intessuto in ogni pagina di storia e politica inevitabilmente fa dello scrittore anche uno storico e un politico, c’è da dire che lo scrittore inglese riesce a destreggiarsi benissimo tra le parti, le fazioni, i partiti, le ideologie, e fa da ago della bilancia nel conflitto mondiale.
Pretendere di illustrare le vicissitudine di 5 famiglie, disperse per il mondo, che si intrecciano durante la guerra, è inevitabilmente un tentativo, difficilissimo, ma riuscitissimo, di mostrare la guerra al cento per cento, a trecentosessanta gradi, senza né vincitori né vinti, perché alla fine sono tutti vincitori, e tutti vinti.
E per questo che abbiamo il punto di vista del conte, della destra inglese, e del minatore filo-bolscevico, della sinistra, abbiamo la femminista che si batte per i diritti delle donne, e abbiamo il razzista, l’omofobo, abbiamo il russo rivoluzionario ed idealista, e il russo senza ideale se non quello che migliora solo se stesso, abbiamo il tedesco nazionalista e l’americano pacifista, e ognuna delle loro ideologie è pari all’altra, è parimenti argomentata, è parimenti motivata.
Certo, i buoni, o per tendenza personale, o perché fondamentalmente , per quanto Follett sia apolitico e non schierato, sono tinti a colori più chiari, sono quelli che comunque vogliamo veder trionfare, ma credo che a supporto della mia tesi possa porre la trattazione di Follett riguardo la Rivoluzione russa, che a mio parere ricopre le pagine più belle dell’intero libro.
Se per lo scoppio della guerra, le prime fasi, che sì, hanno reso la lettura parecchio inceppata, tanto da stare quasi per abbandonarlo, cosa non fatta per il semplice fatto che avendo esperienza in Follett so che ci mette un po’ ad ingranare, ma quando poi ingrana va giù una bellezza... dicevo, se per molti più momenti ho denotato una mancanza di epicità che avrebbero dato il tocco in più alla storia, devo dire che questa non viene a mancare nel momento in cui Follett scrive della Rivoluzione Russa.
Come dimenticare Grigorij che afferra la bandiera rossa e guida la folla? Come dimenticare la presa del palazzo d’Inverno, e la descrizione di Lenin?
Il particolare apprezzamento di questa parte della storia che si innesta nella prima guerra mondiale è data anche, ricollegandoci al motivo iniziale, alla criticità con cui si appresta a descriverla Follett.
Da una parte anima la foga della rivoluzione in Grigorij, il personaggio con il quale ci fa vivere l’evento, dall’altra, con gli occhi di Grigorij, ci fa vedere gli aspetti più sbagliati e contraddittori di questa rivoluzione.
Da una parte Lenin è l’eroe, il liberatore, il pragmatico salvatore di una Russia zarista destinata a marcire in mano alla monarchia, dall’altra Lenin è anche il cavallo pazzo bendato, chiuso al dibattito, all’opinione altrui, un tirano in fasce, un’idealista debole.
Il lettore un po’ si trova sfasato, non sa cosa pensare, non sa a cosa credere, non sa se i bolscevichi sono i difensori del popolo o sono il male del mondo, non sa se la Rivoluzione è salvezza o caos, e mister Follett è stato un maestro a lasciare aperta la questione, che di per sé è storicamente ancora aperta.
Emblematica è una delle ultime scene ambientate in Russia in cui Grigorij prova ad impedire l’esecuzione di innocenti, e non potrà che restare lì a guardarli morire, attraverso i vetri.
E’ la metafora meglio riuscita... i vetri sono quell’ideale, forte, spesso, cristallino, ma a volte si è troppo imbevuti di quell’ideale che se anche attraverso di esso si vede del marcio, del sbagliato, una scelta errata, non si è capace di infrangere quei vetri, di rinnegarli e redimersi.
Potrei stare qui per ore a descrivere più e più momenti vividi, che sono rimasti impressi: per un libro di questa mole è più che giusto, e se non ci fossero non mi sarebbe piaciuto così tanto.
Sebbene le note di banalità e di luoghi comuni entrando nella parte “rosa” del libro con gli intrecci amorosi, sebbene la difficoltà nell’apprensione di alcune spiegazioni, che però avevano il pregio di non essere uscite da un saggio storico ma erano rese realisticamente per bocca dei personaggi più disparati, nei toni più variegati, sebbene la mancanza di passaggi importanti ai fini della guerra in sé, mancanza data da una scelta personale e giustificabile di Follett data la mole di materiale a sua disposizione, anche se alcune di queste scelte sono discutibili, sebbene i dettagli di armi e armamenti siano a doppio taglio, a volte possono incuriosire, altre volte sono solo un contorno, sebbene le troppe scene di sesso esplicito e volgare, che possono piacere, come possono non piacere, sebbene Follett “giochi” troppo con la storia, dando ai personaggi fittizi un ruolo forse troppo importante (ma il gioco fa sorridere, se pensiamo che prima di lui lo ha fatto Eco con Baudolino, con risultati ottimi) sebbene la traduzione (e questo non ce lo scordiamo!) non sia delle migliori, con sbavature talvolta esagerate (non dimentichiamo che il libro è uscito in anteprima in Italia prima che in madrepatria, anche se questo avrebbe dovuto incentivare una traduzione migliore), sebbene i difetti, Follett non ha deluso.
Ovvero, non ha deluso nei limiti delle indicazioni.
Spiego meglio la mia teoria.
Follett NON va assolutamente letto a puntate, un po’ per volta, nello spazio di lungo tempo, perché questo toglie tutto, TUTTO, alla lettura... Follett, la Caduta dei Giganti, è fatto per essere letto in pochi giorni, tutto di seguito, prendendosi poche pause, dandosi la possibilità di entrare completamente nella storia, per poter subire l’influsso che fa andare avanti senza chiuderlo.
Motivo per cui penso che se ho un ricordo intenso di questo libro è perché mi sono attenuto a questa “prassi”... probabilmente, leggendolo nell’arco di più tempo ora odierei questo libro, forse neanche lo avrei mai completato.
Consiglio dunque a tutti di leggerlo solo se si ha molto tempo a disposizione, isolati dal mondo, per ritrovarsi persi e dispersi nella Terra di Nessuno, nei campi di combattimento della Prima Guerra Mondiale, della lontana Russia, nei palazzi aristocratici, nelle squallide baracche dei reietti della società, tra intrighi, storie d’amore e di sesso, giochi di potere e coincidenze, ragionamenti lucidi, sguardi alla politica e alla ideologia del primo Novecento.
In attesa del Secondo Volume. Con la minaccia di un nome che appare nelle ultime pagine, come un monito, un miraggio, un bagliore di quel che sarà.
Adolf Hitler: il Gigante della Caduta del Mondo.