Joyce, James - Ulisse

Wilkinson

Member
Ulisse è il principale romanzo di James Joyce, pubblicato a Parigi nel 1922.

Il romanzo, che si svolge in una sola giornata (il 16 giugno 1904) ed è ambientato a Dublino, è il racconto degli avvenimenti vissuti nel corso di una giornata da Leopold Bloom e Stephen Dedalus a Dublino, in un vagabondaggio che ripercorre le tappe dell'Odissea. Episodi, scene e fatti sono costruiti con più o meno evidente parallelismo rispetto all'opera omerica. Il romanzo però non si esaurisce in questo, vuole essere anche una "summa" di tutti gli aspetti dell'uomo moderno e dei suoi rapporti con la società.


non vedendolo tra i libri recensiti l'unico commento che mi viene è una profonda tristezza .. ci si perde tra tanti fiacchi libriccini e non si legge l'ulisse, mah...
 

saetia

kollaps!
....in effetti a mio parere è il Romanzo del '900 per definizione.. lo sperimentalismo a livello linguistico che adotta Joyce qui non ha uguali ( o meglio ci sarebbe il radicalismo del Finnegans Wake.. ma lì manca la dimensione romanzo che si contorce tra le sperimentazioni linguistiche di joyce)... poi è pieno di rimandi e simbologie a tutto lo scibile umano... mi ricordo che quando lo presi c'era incluso un libro a parte che spiegava come andava letto l'Ulisse..:mrgreen:
 

Wilkinson

Member
Il bello è che non è così duro come lo si dipinge :)
vero c'era un libricino di spiegazione ma non era così indispensabile..
vero altresì che a una prima lettura è impossibile cogliere tutto, ma qui sta il fascino dei classici..
 

Mizar

Alfaheimr
Ulisse è il principale romanzo di James Joyce, pubblicato a Parigi nel 1922.

Il romanzo, che si svolge in una sola giornata (il 16 giugno 1904) ed è ambientato a Dublino, è il racconto degli avvenimenti vissuti nel corso di una giornata da Leopold Bloom e Stephen Dedalus a Dublino, in un vagabondaggio che ripercorre le tappe dell'Odissea. Episodi, scene e fatti sono costruiti con più o meno evidente parallelismo rispetto all'opera omerica. Il romanzo però non si esaurisce in questo, vuole essere anche una "summa" di tutti gli aspetti dell'uomo moderno e dei suoi rapporti con la società.


non vedendolo tra i libri recensiti l'unico commento che mi viene è una profonda tristezza .. ci si perde tra tanti fiacchi libriccini e non si legge l'ulisse, mah...

Vero. Concordo in pieno; in particolare sulla parte posta in grassetto. Si finisce per dare una importanza improbabile a libri che verosimilmente verranno dimenticati immantinente - o che magari già lo sono - piuttosto che apprezzare colossi come Joyce.
Un romanzo monumentale e di importanza storica incalcolabile. Un romanzo incredibilmente innovatore ed anticipatore.
Triste anche notare che molti autori - e correlativamente molti lettori - si comportano come se determinate novità non siano (ancora) cosa nota da un secolo.
 

Zanna

Re Shulgi di Ur
Concordo con Wilkinson.
A mio avviso è assieme a L'Uomo senza qualità di Musil il romanzo per eccellenza del 900.
 

oooo

New member

(Il mio messaggio deve contenete almeno unidici caratteri).
 

Antonio58

New member
In tutto questo entusiasmo mi sento un po' a disagio a dover confessare che l'Ulisse non mi ha sortito particolari emozioni anzi, devo dire che ho faticato ad arrivare in fondo nonostante l'aiuto della Guida alla lettura. Questo nonostante mi sia accinto alla lettura con entusiasmo e curiosità avendo già letto e apprezzato Dedalus e Gente di Dublino. L'Ulisse è considerato un caposaldo della letteratura del '900 insieme alla Recherche di Proust ma, mentre ho letto questa con piacere nonostante l'enorme mole, non ho provato la stessa soddisfazione con l'opera di Joyce.
Diciamo che forse non era il momento adatto.
 

bathory

New member
L'Ulysses di Joyce è un'opera straordinaria, immensa, realmente senza pari. La "Guida alla lettura" di De Angelis e M. è uno strumento senza dubbio prezioso ma da solo non sufficiente. Sul seguente sito internet James Joyce's Ulysses (nella sezione "Tesine e interventi"), facente capo all'Università degli Studi di Roma Sapienza , troverete la bellezza di 92 tesine di ottimo livello sull'Ulisse (anche se in realtà 4 o 5 tra esse sono dedicate a "Gente di Dublino"). In pratica ad ogni singolo episodio del capolavoro di Joyce sono dedicate da un minimo di 2 ad un massimo di 5 tesine. La consultazione delle stesse, a mio avviso, può rivelarsi di grande ausilio nell'interpretazione e comprensione del testo consentendo di penetrarne in profondità il significato e di analizzarne le molteplici sfaccettature.
 
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Grantenca

Well-known member
Ulisse

Tra i tanti giusti commenti devo confessare che è uno dei pochi libri che non sono riuscito a terminare, anzi forse non sono nemmeno riuscito ad arrivare a metà. E' senza dubbio colpa mia e della mia modestissima cultura letteraria. Amo leggere di tutto ma non ho una preparazione culturale specifica. Però dirò una cosa per cui sarò passibile di arresto; se penso che questo autore ha scritto un racconto come "I morti" pensando all'ULISSE mi viene da pensare"quanto talento sprecato". Naturalmente sto celiando e chiedo scusa.
 

LowleafClod

e invece no
Dopo aver letto i commenti, mi metterò nell'ottica di leggere anche gli altri racconti di Joyce, visto che L'Ulisse pare il meno riuscito ad alcuni. Ho avuto un assaggio de I morti e de Il ritratto, ed è vero che sono differenti dall'Ulisse, ma sicuramente perché quest'ultimo per me è il capolavoro in assoluto dello scrittore!
Ho letteralmente sognato in quelle pagine, un immenso vortice di pensieri che viene interrotto da gesti semplici e vicende quotidiane, il tutto incentrato su pochi personaggi. La narrazione ovviamente è la parte più attraente: la lettura scorre, ma cambia improvvisamente attraverso svariati stili, e diventa un vero e proprio ''assaporare'' diversi metodi di scrittura che vengono utilizzati. Ogni capitolo diventa una scoperta.
Ci si può perdere in alcuni pezzi, ma è il bello di questo libro: si passa dal racconto di un episodio a un monologo interiore, a un pensiero che non conta nulla, a riflessioni esistenziali. Una lettura che non si finisce in un giorno, che però ti trascina. L'ho trovato scorrevole e piacevole per la mente in alcune parti e in altre anche ritmico e spezzato: lo paragonerei quasi alla musica, fatta di numerosi e svariati tempi e te ne accorgi soprattutto se lo si legge a voce alta.
A me ha catturato, considerando la visione della Dublino di Joyce, mi aspettavo qualcosa di peggiore, invece mi sono ritrovata immersa, anche profondamente, in questa ''lunga giornata'' di Bloom e Stephen.
 
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bonadext

Ananke
Credo che Ulisse sia l'opera più assurda della letteratura, gli esercizi di stile adottati da Joyce sono la prova di un autore eccentrico, sopra le righe.
La caratteristica principale e innovativa dell'opera joyciana sono i monologhi interiori in “flusso di coscienza”, vero punto di forza di Ulisse.
I vari “episodi” risultano molto carnali e spesso sono irregolari ed incoerenti, folli?! Sono pregni di simbolismo, erudizione e non-senso risultando spesso ostici.
Io sono soddisfatto di aver affrontato questa “pietra miliare della letteratura”, anche se non è stata una lettura appassionata, e pur con i suoi alti e bassi si è rivelata un'ottima esperienza letteraria per allargare i miei orizzonti!
Mi sento di consigliare questa lettura, ma solo a chi sente veramente di volersi imbattere in qualcosa di complesso e totalmente fuori dagli schemi. E' una lettura molto personale.
 

Tanny

Well-known member
Commentare un opera di questo genere risulta essere molto difficile in quanto gli avvenimenti narrati risultano essere molti e comunque, più che gli avvenimenti in se, credo che sia proprio il modo in cui è stato scritto il vero protagonista del romanzo, cerco di dare una valutazione ai vari episodi:

1° episodio: scorrevole e relativamente di facile comprensione, forse perchè gasato dal fatto di aver appena iniziato la lettura mi ha lasciato un buon ricordo
2° episodio: più o meno vale la stessa cosa del primo episodio
3° episodio: a dir poco fantastico, il soliloquio di Stephan sulla spiaggia è splendido, ho fatto molta fatica a comprendere delle parti ma questo è uno dei migliori episodi del libro
4° episodio: il primo episodio dell'odissea è abbastanza semplice e scorrevole, Bloom che mangia rognone alla mattina (che bella immagine), che parla con la gatta, insomma niente male
5° episodio: a dire il vero non mi ha entusiasmato molto
6° episodio: la parte del funerale è stata molto bella e coinvolgente
7° episodio: la parte del giornale mi ha lasciato abbastanza confuso ed ho capito solo in parte ciò che voleva dire
8° episodio: L'episodio dei Lestrigoni-il pranzo mi ha lasciato abbastanza indifferente, niente di particolare
9° episodio: Peste e corna all'episodio della biblioteca, non ho capito un cavolo e mi ha fatto rivoltare lo stomaco
10° episodio: Dopo la mazzata del 9 capitolo nel decimo mi sono ripreso, il capitolo delle strade, pur che abbastanza confuso con una miriade di azioni e personaggi da farmi diventare scemo (ho un piccolissimo problema a memorizzare i nomi) tutto sommato mi è piaciuto
11° episodio: nella normalità niente di particolare
12° episodio: l'episodio del ciclope sinceramente non mi è piaciuto, che barba e che noia
13° episodio: Nausica, un bel episodio, leggero e non molto impegnativo
14° episodio: il peggiore di tutti, ha messo a seria prova il mio sistema nervoso e durante la lettura di questo episodio il libro ha rischiato molte volte di finire fuori dalla finestra, un incubo
15° episodio: nonostante sia l'episodio più lungo di tutto il libro, Joyce si è superato, tutta la parte dell'immaginario di Bloom è abbastanza confusa e la lettura non è certo agevole, ma questa parte è a dir poco geniale, promosso a pieni voti
16° episodio: questo episodio mi è parso abbastanza confuso ma non particolarmente difficile, mi ha lasciato abbastanza indifferente
17° episodio: come per il precedente non mi ha detto molto, nulla di particolare
18° episodio: un capolavoro che assieme al 3° ed al 15° episodio vale l'intero libro, veramente bello e geniale


Dal punto di vista generale questa è forse una delle letture più difficili in cui mi sono cimentato, non posso certo dire che è un libro entusiasmante, dal punto di vista stilistico è un autentico capolavoro, ma ciò non invoglia certo la lettura, come già detto da altri è un libro che per poterlo leggere bisogna decidere di farlo, ben coscienti delle difficoltà che si troveranno e del fatto che alcuni passaggi possano risultare incomprensibili.
Io ho preso la lettura di questo libro quasi come una sfida con me stesso e sono veramente contento di averlo letto, mi mancano le parole per descrivere una simile opera, è troppo vasta da descrivere, il continuo cambio di stile fra i vari episodi è forse la cosa più interessante del libro ed allo stesso tempo ciò che mi rende praticamente impossibile valutarlo, alcuni episodi li ho amati ed altri mi sono risultati indigesti.
Secondo me anche questo fatto che non riesco a posizionare questo libro nella lista di quelli che mi sono piaciuti o meno fa parte della grandezza di quest'opera, oltre allo stile in ogni episodio cambiano anche le impressioni del lettore e questa cosa a mio avviso è la cosa più bella del libro e la vera ragione per cui deve essere letto.
 

ayuthaya

Moderator
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Adesso vi dirò una cosa che potrebbe sconvolgervi, per cui tenetevi forte... C’era un tempo in cui Joyce non esisteva.

Ma sì, dico sul serio! C’era un tempo, ormai quasi un secolo fa, in cui la letteratura mondiale non aveva ancora affrontato l’ingrato, estenuante ma direi fatale compito di confrontarsi con Joyce e la sua opera più celebre, l’Ulisse.
Ora, questa notizia potrebbe scioccarvi – come è successo a me – oppure, se Joyce è solo un nome che vi fa una paura tremenda (e come darvi torto?), potrebbe lasciarvi nella più completa indifferenza. Perchè non sempre conosciamo l’origine delle cose che pure amiamo... le amiamo e il nostro amore ci fa credere che siano esistite da sempre, ma non è così.

Una volta quindi Joyce non c’era. Eh già. E come si faceva? Si faceva che c’erano tanti altri grandissimi autori, per carità, ma non c’era lui. Non c’era ciò che ha creato lui e che adesso diamo per scontato, acquisito, perché lui un giorno si è preso la briga di tirarlo fuori dal cilindro che era la sua penna. Si può essere grandi in molti modi, ma ce n’è uno davvero speciale, che è quello di inventare qualcosa che prima non esisteva e, allo stesso tempo, di farlo in un modo che costituisce di per se stesso il “vertice non superabile”, il massimo dispiegamento della propria potenzialità. Mi spiego: la vera grandezza di Joyce, e di pochi altri artisti come lui (nella letteratura moderna penso a Proust e Musil, rispettivamente ne “La Recherche” e ne “L’uomo senza qualità”), è quella di avere creato un nuovo modo di fare letteratura (in questo senso sono diventati dei veri e propri “progenitori” di un’infinita discendenza...) e insieme averne raggiunto l’apice.
Ricordo la bella recensione di Bonadext su L’uomo senza qualità, nella quale scrive che Musil con quest’opera “è arrivato a un punto da cui non si può più fare ritorno”. Sono d’accordo: da Joyce, Musil, Proust costituiscono punti di non ritorno e allo stesso tempo, ciascuno nella propria “invenzione”, rappresentano il limite oltre il quale non è possibile andare. Sono artisti “congelati”, dunque? No, perchè ognuno di essi, come dicevo prima, è diventato una sorgente per nuove correnti, alcune delle quali hanno preso direzioni diversissime, con risultati magari più facilmente apprezzabili rispetto all’originale, ma che ad essi innegabilmente devono la propria ragione d’essere.

Joyce in particolare – che nella vita deve essere stato un tipo difficile e, se il suo stile parla per lui, pure abbastanza spocchioso – ha incarnato questi “paradossi” in modo ancora più radicale, sacrificando sull’altare di una rivoluzione senza precedenti la possibilità di essere amato. Lo ripeterò fino alla noia: ho amato profondamente Musil ne L’uomo senza qualità, non ho potuto amare l’Ulisse, benché sia riuscita a detestarlo in alcuni punti e in altri ad ammirarlo senza riserve. Troppo cerebrale, troppo “perfetto” nelle sue intenzioni e realizzazioni, fra le quali, secondo me, c’era appunto la volontà di inventare un nuovo linguaggio e uno, anzi diciotto stili l’uno diverso dall’altro, ma non quello di arrivare al cuore del lettore.
Di questa impossibilità di emozionarmi – a eccezione forse di pochissimi episodi, primo fra tutti il celeberrimo monologo di Molly in “stream of consciousness” – me ne sono resa conto la prima volta che ho provato a intraprendere questa lettura, quasi tre anni fa... stavolta quindi mi sentivo più forte, più preparata a incassare anche eventuali delusioni, consapevole che comunque mi trovavo di fronte a qualcosa di “estremo”.

Ma cos’ha poi questo Joyce di così speciale, e di così temibile soprattutto? Spiegarlo senza darne direttamente un assaggio – cosa che non ho alcuna intenzione di fare – è impossibile, per cui rinuncio a priori all’impresa. C’è però una cosa che mi ha colpito, uno dei tanti aspetti della “rivoluzione joyciana” che secondo me merita di essere considerata, ed è la “posizione” in cui si colloca lo stile o, per meglio dire, gli stili dell’Ulisse.
Si è detto che l’intento di Joyce (e una certa dose di autocompiacimento traspira innegabilmente dalle pagine del romanzo) non era di farsi amare, e nemmeno di raccontare semplicemente una storia, seppure in modo originale. No, lui secondo me era ben conscio di quello che stava facendo e cioè fondare un nuovo linguaggio che, fra le altre cose, fosse più aderente ai meccanismi della coscienza, della percezione. Ne sono un esempio il memorabile terzo episodio (forse quello che ho trovato più difficile di tutti), intitolato Proteo, in cui i suoni e gli stimoli esterni si mescolano ai pensieri di Stephen, confondendosi in una materia non a caso proteiforme; o il quindicesimo, geniale nella sua modernità e direi persino preveggenza, un vero inno letterario al subconscio; o ancora il diciottesimo, laddove il flusso di coscienza per cui Joyce è tanto famoso si dipana nella sua forma più estrema: più di quaranta pagine senza alcun segno di punteggiatura che faccia da filtro fra la semicoscienza di Molly (a metà strada fra il sonno e la veglia) e il modo in cui questa viene espressa.
Bè, quello che ho pensato è che ciononostante sarebbe un errore parlare di “realismo” letterario. É vero, indubbiamente Joyce ha fatto quello che nessuno aveva mai osato: ha rotto gli argini della forma tradizionale fino alle estreme conseguenze. Inutile ripeterlo: a partire dall’Ulisse la letteratura non sarà più la stessa. Però ritorna quella contraddizione di cui parlavo all’inizio: se è vero che con Joyce cadono i filtri artistici, linguistici, che separavano il mondo esterno dalla coscienza , è anche vero il suo linguaggio resta pur sempre un artificio, si plasma in una forma tutta sua. É difficile da spiegare, non so neanche se la mia intuizione sia corretta o no... ma mentre leggevo il monologo di Molly pensavo: davvero se la mia mente fosse libera di esprimere se stessa, la sua traduzione letterale e letteraria sarebbe questa, un interrotto flusso di parole e ardite associazioni di idee? Per certi versi sì, lo sarebbe: di sicuro i nostri pensieri non conoscono punteggiatura e la nostra mente vaga in modo apparentemente discontinuo e disordinato, seguendo fili a lei sola noti. Ma è anche vero che il modo in cui Joyce elabora questa intuizione resta, a mio avviso, una forma d’arte e, come tale, qualcosa di “costruito”. Non quindi una semplice per quanto rivoluzionaria trasposizione realistica dei meccanismi della nostra coscienza, bensì uno straordinario punto d’incontro fra questi meccanismi (nei quali rientrano la percezione degli stimoli esterni, la loro elaborazione, ricordi, paure, perversioni...) e la letteratura. Per questo parlavo di “posizione”: lo stile di Joyce si colloca esattamente a metà strada fra la coscienza e la creazione letteraria, il realismo e l’artificio.
Un nuovo linguaggio, insomma. Voleva farlo e ci è riuscito.

Io molto più di questo non riesco ad aggiungere (ho scritto anche troppo...). Bene o male nessuno si sognerebbe di dire che Joyce e soprattutto l’Ulisse non si meritano il posto che la Storia ha assegnato loro, per cui neanche sottolineo, come ho fatto altre volte, che con questo romanzo siamo di fronte a un Capolavoro. E chi non lo sa? É anche vero che, se non nessuno, pochi avrebbero però il coraggio di affermare che non si tratta di una lettura estremamente complessa e faticosa e che, per leggerla, occorre aver “deciso” di farlo, armati di una certa dose di caparbietà e direi persino di masochismo.
Detto questo, quando ci si trova di fronte a un’opera di questo “peso”, oltre alla ovvie “ansie da prestazione” che credo prendano un po’ tutti, non si può che sospendere ogni giudizio, persino ogni forma tradizionale di godimento (quel piacere spontaneo che ci prende quando leggiamo un bel libro... ecco, scordatevelo!) e riconoscere che –incredibile ma vero – una volta Joyce non c’era.
Poi è arrivato... ed è cambiato tutto.
 

bonadext

Ananke
Bè, quello che ho pensato è che ciononostante sarebbe un errore parlare di “realismo” letterario. É vero, indubbiamente Joyce ha fatto quello che nessuno aveva mai osato: ha rotto gli argini della forma tradizionale fino alle estreme conseguenze. Inutile ripeterlo: a partire dall’Ulisse la letteratura non sarà più la stessa. Però ritorna quella contraddizione di cui parlavo all’inizio: se è vero che con Joyce cadono i filtri artistici, linguistici, che separavano il mondo esterno dalla coscienza , è anche vero il suo linguaggio resta pur sempre un artificio, si plasma in una forma tutta sua. É difficile da spiegare, non so neanche se la mia intuizione sia corretta o no... ma mentre leggevo il monologo di Molly pensavo: davvero se la mia mente fosse libera di esprimere se stessa, la sua traduzione letterale e letteraria sarebbe questa, un interrotto flusso di parole e ardite associazioni di idee? Per certi versi sì, lo sarebbe: di sicuro i nostri pensieri non conoscono punteggiatura e la nostra mente vaga in modo apparentemente discontinuo e disordinato, seguendo fili a lei sola noti. Ma è anche vero che il modo in cui Joyce elabora questa intuizione resta, a mio avviso, una forma d’arte e, come tale, qualcosa di “costruito”. Non quindi una semplice per quanto rivoluzionaria trasposizione realistica dei meccanismi della nostra coscienza, bensì uno straordinario punto d’incontro fra questi meccanismi (nei quali rientrano la percezione degli stimoli esterni, la loro elaborazione, ricordi, paure, perversioni...) e la letteratura. Per questo parlavo di “posizione”: lo stile di Joyce si colloca esattamente a metà strada fra la coscienza e la creazione letteraria, il realismo e l’artificio.
Un nuovo linguaggio, insomma. Voleva farlo e ci è riuscito.
Bella recensione ayu! Ma più che una recensione hai scritto un saggio! :ad: :mrgreen:
E ti ringrazio tanto per avermi citato :ad::ad: :D

La parte che ho quotato mi ha colpito particolarmente, anch'io ho pensato le stesse cose mentre leggevo l'episodio 18 :wink:
 

Roberto89

MODerato
Membro dello Staff
Voto: 2,5 stelle su 5

Inizio con una premessa: il mio voto cerca di equilibrare la mia esperienza di lettura (alla quale avrei dato sì e no una stella) con il valore letterario dell'opera (che per quanto presente non è però facile da vedere, figuriamoci capire). È sicuramente un libro che richiede diverse riletture e l'aiuto di testi critici per poter essere "capito" (ad oggi esistono diverse chiavi di lettura su vari aspetti, quindi non ci sono risposte chiare su tutto).

Sulla trama e sulla struttura dirò il minimo indispensabile, perché anche se non c'è rischio di spoilerarsi qualcosa credo che il libro vada letto la prima volta senza aiuti esterni, vivendo l'esperienza come Joyce l'ha immaginata.
Parlerò invece dei contenuti e dei temi presenti nell'opera.
I contenuti non potevano essere più diversi: si va dalle citazioni letterarie e bibliche agli elenchi di cose e ai giochi di parole, dalla parodia al testo scientifico, dal flusso di coscienza e allucinazioni varie alle riflessioni su politica e religione, tutto passando per diversi stili di scrittura: fra i tanti ad esempio ci sono flusso di coscienza, scrittura in forma teatrale, narrazione in prima persona, narrazione con domande e risposte (tipo intervista), articoli di giornale. Senza tralasciare i più difficili riferimenti all'Odissea e i vari simbolismi piuttosto difficili da vedere (e ancora meno capire, buona fortuna a chi ci prova) senza una guida critica. Nella ricchezza stilistica mi ha spesso ricordato Moby Dick, che però a confronto è stato una lettura molto più semplice e che lascia trasparire la sua logica interna, mentre l'Ulisse è solo caos.

Parlando invece dei temi, fra quelli che ricordo ci sono religione, psiche, letteratura, sesso, antisemitismo, amicizia, politica. Ma nessuno è approfondito in modo particolare. Per quanto ho potuto notare la voce dell'autore non emerge mai, né direttamente né tramite i suoi personaggi. I vari temi spariscono con la velocità con cui emergono, lasciando spesso il tempo che trovano.

Parlando della trama, su alcuni fatti Joyce lascia il lettore nella più totale oscurità: per citarne qualcuno,
i dissapori fra Dedalus e la madre, il suicidio del padre di Bloom, le motivazioni dei vari tradimenti di Bloom e della moglie.
Questo vuoto lasciato dall'autore per me ha pesato parecchio sull'esperienza di lettura, perché mentre io ero curioso di scoprire di più su questi fatti e capire meglio i personaggi, Joyce si dilunga capitolo dopo capitolo in fiumi di parole su argomenti banali.

A mio parere il flusso di coscienza poteva essere usato di più e meglio. Mi sarebbe piaciuto entrare di più nella mente dei personaggi, vederne la caoticità non solo nelle cose "banali", di tutti i giorni, ma anche nelle loro motivazioni, paure, punti di vista. Invece, come ho detto, Joyce si dilunga molto su cose di poco conto che nulla dicono sui personaggi, anche se nell'insieme danno una visuale sulla Dublino di cui Joyce scrive, o almeno su come lui la vedeva. Per quanto utile, tutto ciò crea confusione nel lettore (di certo una confusione voluta) abituato a trovarsi davanti una serie di personaggi che l'autore muove in modo organizzato nel tempo (la trama). Facendo un altro confronto, La signora Dalloway di Virginia Woolf a confronto è molto breve e lascia molte domande senza risposta, ma sicuramente non stanca inutilmente il lettore, oltre ad essere spesso poetico nelle descrizioni della natura e accennare allo stato d'animo e alla psicologia dei personaggi principali.

Secondo me l'Ulisse è prima di tutto un romanzo che vuole contrastare quanto più possibile con lo stile realista dei romanzi dell'800, provando a trasmettere la caoticità e l'imprevedibilità che guidano la vita di tutti i giorni. Per gran parte della lettura mi è sembrato solo un lunghissimo esercizio di stile, ci è voluto un bel po' (e l'aiuto di qualche chiave di lettura esterna, fra cui la scoperta degli schemi Linati e Gilbert, non presenti e nemmeno accennati nella mia edizione) prima di iniziare a capire che in quest'opera c'è molto di più. Colpa anche mia, che inizialmente mi sono ostinato a leggere il libro senza aiuti esterni, per viverlo come Joyce stesso l'ha pensato. Ma anche con questa realizzazione resta il problema della difficoltà di lettura, perché Joyce sembra aver fatto di tutto per rendere il romanzo quanto più ostico possibile. Per dare un'idea a chi non l'ha letto, la trama è quasi del tutto assente, i personaggi poco sviluppati (ci si aspetterebbe molto di più da un romanzo che usa il flusso di coscienza e un punto di vista interno), lo stile cambia di continuo e spesso ritorna ad argomenti banali e che fanno storcere il naso, o al più fanno ridere (e non è il mio caso).
In altre parole il libro si apre e si chiude casualmente come una finestra sulla vita di questi personaggi, senza darci informazioni sulla loro vita precedente, sulle loro motivazioni, ecc. È come trovarsi per caso in casa di sconosciuti e poi andarsene, senza poter fare domande, lasciandoli per sempre e magari restando con la curiosità su vari aspetti delle loro vite. In questo la Woolf è stata molto più brava (o buona) permettendo al lettore di capire qualcosa, pur percependo il senso di caoticità che esiste nella mente dei personaggi, così come nella vita stessa.

Tirando le somme, so che in questo libro c'è molto di più di quanto io possa aver percepito con una sola lettura, ma l'esperienza è stata così impegnativa (e poco remunerativa) che non ci tengo a ripeterla, accompagnato solo dalla speranza di capire qualcosa di più. E non si tratta di capire la trama o il punto di vista dell'autore ma di rimontare qualche pezzo di questo enorme puzzle creato da Joyce (ad esempio ricercando i vari riferimenti presenti nello schema Linati all'Odissea, ai colori, agli organi del corpo, ecc). Tutto questo secondo me aggiungerebbe poco alla comprensione dell'opera in quanto "messaggio" o punto di vista dell'autore sul mondo.
 

isola74

Lonely member
Sono in gran parte d'accordo con quello che dice @Roberto89 soprattutto su due cose:
- Joyce ha voluto rompere gli schemi della letteratura contemporanea e osare in maniera drastica, rischiando tanto ma mettendolo certamente in conto
- una sola lettura non può bastare a capire effettivamente i contenuti del libro né tantomeno una lettura come è stata la nostra, o almeno la mia, senza troppe pretese.
Ma come Roberto non ci tengo assolutamente a riprovarci 😁
Ho letto in altre citazioni paragoni con altri testi che sono pietre miliari della letteratura . Io non credo che l'Ulisse si possa paragonare a nulla
Ho letto la Recherche di Proust e devo dire che nonostante la mole non ha nulla a che vedere con quest'opera. Sì, è vero, ci sono state pagine che ho dovuto leggere un paio di volte ma credo che Proust, a differenza di Joyce, ci tenesse davvero a farsi capire dal lettore e a donarci qualcosa di sé.
Io ho avuto l'impressione che invece Joyce se ne fregasse del lettore o quantomeno del lettore medio, così come se ne fregasse della critica letteraria .... è come se avesse voluto mettere in piazza un'opera dicendo: ora vediamo chi è bravo a capirla😜
Ovviamente sto semplificando e mi scusino i puristi e gli amanti dell'Ulisse.... Se dovessero essercene😁
Semmai mentre lo leggevo mi è venuta in mente La montagna incantata di Mann, anche questa è un'opera enciclopedica, piena di nozioni e concetti che spaziano tra campi della scienza totalmente diversi tra loro, ma c'era una scrittura più fluida, nonostante la difficoltà di comprensione dei concetti.
Ci sono state pagine che mi sono piaciute per la fluidità dei ragionamenti, per la musicalità delle parole, e pagine che ho profondamente odiato dall'inizio alla fine. Diciamo che ciò che mi ha lasciato di più sono state delle sensazioni più che una vera e propria compressione del testo e mi basta.
 
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alessandra

Lunatic Mod
Membro dello Staff
Joyce ha rischiato sicuramente, sì, tanto, se ne è fregato del lettore o meglio del lettore che ha una cultura inferiore alla sua, ossia di quasi tutti e ha scritto ciò che voleva scrivere, un romanzo estremamente innovativo, senz'altro geniale nello stile. Tutto ciò potrebbe indispettire, invece a me fa sorridere, ho simpatia in generale per chi osa anche rendendosi in parte impopolare (a lui però è andata bene perché il suo genio è stato compreso) e del resto se non ci fosse questo tipo di artisti tutti scriverebbero allo stesso modo, seguendo regole ben definite, magari chiare, ma che a lungo andare potrebbero appiattire la letteratura. Il romanzo è stato per me in gran parte incomprensibile, cionostante (è un paradosso, lo so) all'inizio (poi mi sono un po' stufata) non vedevo l'ora di prenderlo in mano, mi lasciavo trasportare dai suoi flussi di coscienza che in fin dei conti somigliano a quelli di tutti gli esseri umani, almeno credo, magari gli argomenti sono diversi :mrgreen:ma mi sono rispecchiata nel suo "movimento cerebrale".
Pur non essendo, credo, un romanzo volto a coinvolgere emotivamente quanto cerebralmente, l'essenza dei personaggi secondo me si coglie, si coglie il dolore di Bloom per il padre e per il figlio, la preoccupazione e la gelosia nei confronti della figlia, l'inadeguatezza della coppia e del suo rapporto, forse dovuta proprio a questi eventi, la gelosia, il rifugiarsi nel sesso, si coglie il senso di colpa di Stephen e la sua difficoltà, anche materiale, di vivere. E come al solito chi vede le cose più chiaramente, seppur ignorante, è la donna :mrgreen: il monologo di Molly è finalmente comprensibile, nonostante l'assenza di punteggiatura leggendolo ho respirato e credo che valga la pena di leggere Ulisse anche solo per questa parte.
Non saprei mai dire a qualcuno se e per quali motivi vale la pena di leggerlo, ma di certo è un'esperienza e sono contenta di averla fatta.
 
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