Blakemore, A. K. - Le streghe di Manningtree

Roberto89

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Inghilterra, 1643. Il Parlamento combatte contro il re, la guerra civile infuria, il fervore puritano attanaglia il Paese e il terrore della dannazione brucia dietro ogni ombra. A Manningtree, una cittadina della contea dell’Essex privata dei suoi uomini fin dall’inizio della guerra, le donne sono abbandonate a se stesse; soprattutto alcune di loro, che vivono ai margini della comunità: le anziane, le povere, le non sposate, quelle dalla lingua affilata. In una casupola sulle colline abita la giovane Rebecca West, figlia della vedova Beldam West, «donnaccia, compagna di bevute, madre»; tra un espediente e l’altro Rebecca trascina faticosamente i suoi giorni, oscurati dallo spettro incombente della miseria e ravvivati soltanto dall’infatuazione per lo scrivano John Edes. Finché, a scombussolare una quotidianità scandita da malelingue e battibecchi, in città non arriva un uomo: Matthew Hopkins, il nuovo locandiere, che si mostra fin dal principio molto curioso. Il suo sguardo indagatore si concentra sulle donne più umili e disgraziate, alle quali comincia a porre strane domande. E quando un bambino viene colto da una misteriosa febbre e inizia a farneticare di congreghe e patti, le domande assumono un tono sempre più incalzante… Le streghe di Manningtree è la storia di una piccola comunità lacerata dalla lenta esplosione del sospetto, in cui il potere degli uomini è sempre più illimitato e la sicurezza delle donne sempre più minata.
 

Roberto89

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Voto: 4,5 stelle

Un romanzo scritto molto bene, l'autrice è riuscita non solo a far si che il lettore si ritrovi immerso nella piccola comunità di Manningtree, ma ne ha anche ricreato lo sfondo storico, economico, politico (guerra civile inglese), religioso (radicalismo puritano contro papa e cattolicesimo) e sociale in modo secondo me molto realistico ed efficace.
Anche se l'autrice non si fa mai sentire in modo diretto, la storia è avvincente e non solo per la trama in sé. La narrazione in prima persona di Rebecca, la protagonista, le confessioni riprese da documenti reali, nonché i personaggi fanno sì che il lettore possa farsi un'idea di come fosse essere una donna (specie se povera e senza marito) in quegli anni.
Il romanzo è molto scorrevole, non manca di dettagli importanti ma senza mai perdersi o diventare noioso. L'autrice ha bilanciato con efficacia le parti narrative con quelle di introspezione della protagonista, oltre a quelle più strettamente storiche (ma sempre legate alla storia narrata).
Ho trovato la scrittura molto bella e a volte anche poetica, non si può non sentire ciò che sente la protagonista e ritrovarsi catapultati a vivere questa storia insieme a lei. Perché non si tratta solo di un racconto della caccia alle streghe ma di una parte importante della nostra storia, come umanità, che ha contribuito a definire quello che siamo oggi, lasciando il segno come una cicatrice ormai chiusa (o forse ci piace credere così) ma ben visibile, ma allo stesso tempo rimanendo una ferita aperta, perché anche se non la si chiama più caccia alle streghe la battaglia è ancora in corso, e noi tutti cresciamo come figli di cultura e di un'ideologia che assorbiamo sin da bambini, come se non fosse abbastanza guardare al passato per ricordare l'orrore e capire che anche una parola e un gesto bastano a ferire e distruggere.
 
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